Cavoli a merenda… e se non proprio a merenda, come suggerisce l’adagio popolare, a meno che non stiate seguendo una particolare cronodieta, è sicuramente un consiglio salutare che siano frequentemente presenti ai nostri pasti.

In particolare il cavolfiore, la Brassica oleracea, che appartiene ad una numerosa famiglia vegetale, quella delle Brassicaceae (Cruciferae o Crocifere) comprensiva di oltre 300 generi e quasi 4.000 specie, preziosi sostegni della biodiversità vegetale ed alimentare.

L’etimo di cavolfiore, cavolo dal greco kaulos e in latino caulum (fusto) e fiore, ci specifica che la parte edibile è una effettiva inflorescenza floreale a corimbo (pomo, cespo o rosette). Non per nobilitarlo dal ruolo di comune entità ortolana al fine consumo gastronomico floreale, tanto di moda, ma è proprio questa infiorescenza che ne determina la varietà cromatica che, oltre alla più diffusa, color bianco, può essere anche verde, violetta o gialla.

Oltre che in cucina, il cavolfiore ha un curriculum glorioso per il suo uso esterno, applicazione attualmente meno nota, ma lungamente utilizzata nella medicina popolare anche in situazioni di emergenza o traumatiche. Come riporta il medico fitoterapeuta Jean Valnet: “È che il cavolo sembra avere una particolare affinità con gli umori corrotti che obbliga ad uscire dai tessuti… le tossine lontane sembrano essere attirate dal cavolo.

Insieme all’argilla, impacchi e impiastri (o i cataplasmi, che sono tutte applicazioni tecnicamente differenti) con le foglie di cavolo, sono rimedi principi della naturopatia tradizionale e di quella fitoterapia domestica diffusa un tempo in ogni famiglia. Se volete cimentarvi nel rimedio topico, dovete procurarvi le foglie verdi, generalmente disdegnate per uso alimentare e che trovate solo nei mercatini o dai produttori diretti; nonostante siano gustose, ricche di calcio e clorofilla sono escluse come materiale di scarto. Dovete eliminare la costa centrale rendendo le foglie come bende vegetali, schiacciandole un po’ per fare uscire il succo e disporle sulle zone coinvolte. La lunga sperimentazione empirica nel corso dei secoli riporta una ampia casistica risolutiva su una infinità di patologie (geloni, contusioni, piaghe, emorroidi, emicranie, affezioni dermatologiche, nevralgie, ecc.).

Traendo insegnamento da un antico aforisma di Marcio Porcio Catone il Censore:

La medicina è una mano santa, che dispone di un medicamento naturale per ogni dito. Il primo di questi medicamenti è il cavolo, poi viene il vino, il latte, l’olio e l’orzo… Chi sa usare saggiamente questi doni della natura non si ammala e chi sa mescolarli nelle giuste misure guarisce ogni malattia.

Questo “strenuo difensore della medicina tradizionale” ricordava, inoltre, in Precetti al figlio:

Ho potuto rendermi conto di quanto vivano sani gli uomini che consumano molti cavoli…I cavoli, il sole, e il vino sono i migliori alleati della vecchiaia.

Rimando al testo Cose rustiche il lungo elogio che l’autore rivolge alla Brassica medicamentosa. Altri numerosi autori antichi (Ippocrate, Crisippo, Galeno) hanno lodato le proprietà dei cavoli, Plinio attribuiva la salute dei Romani all’uso fatto per sei secoli come una sorta di panacea.

Per non illudersi nelle reminiscenze di tempi antichi più salutari, nel 1992 la ricerca moderna ha isolato una sostanza, il sulforafano, un composto del gruppo degli isotiocianati, appartenente alla famiglia dei composti solforati di cui sono ricchi diverse specie vegetali, ma in particolare le crucifere. Il sulforafano viene prodotto quando la sulforafanina, un glucosinolato, si combina con l'enzima mirosinasi. Il meccanismo viene alterato da lunghe cotture ed alte temperature e qui comprendiamo la fondatezza delle antiche ricette (tuttora valide) che raccomandano il consumo di cavoli crudi, cotti al vapore o appena sbollentati.

Il sulforafano si è dimostrato capace di eliminare e rallentare la proliferazione delle cellule tumorali e prevenire le degenerazioni tumorali legate a diversi organi. Una efficace sinergia è possibile abbinando condimenti come la curcuma, il sommacco, il timo, il cumino, il succo di limone, acetoliti con erbe aromatiche, che oltre potenziare gli effetti antiossidanti, ne aiutano la digestione.

Altro rappresentante di questa famiglia vegetale è il cavolo cappuccio che finemente tagliato e sottoposto a crudo ad una macerazione stratificata con del sale, è altresì noto come crauti.

Varie e consolidate tradizioni culinarie, presentano spesso un perfetto abbinamento alimurgico come la classica combinazione dei crauti con vari derivati animali, dove tendono a bilanciare gli effetti di una digestione impegnativa.

La modalità di lavorazione determina un succo da fermentazione lattica, benefica per la flora batterica (è un acido lattico con ph tra 3,1 e 3,7). Inoltre nella classica preparazione dei crauti rientra anche la presenza delle bacche di ginepro (frutti o strobuli del genere Juniperus) che favoriscono l’azione detossicante generale e drenante dell’acido urico.

Infine, ma non da ultimo, sono ricchi di colina, una sostanza che favorisce la riduzione di omocisteina circolante.

Non dimentichiamoci (e forse avete intuito che stiamo seguendo le mie preferenze alimentari) il cavolino (o cavoletto) di Bruxelles, germoglio commestibile della Brassica oleracea, ma della varietà gemmifera, ricco di proprietà antiossidanti e anti tumorali.

Divagando sui motti popolari legati da tempo ai cavoli, tipo: “salvare capra e cavoli”, “non vali un cavolo”, il dispregiativo “è una casa che sa di cavoli”, il dire campagnolo “andare per cavoli” o “andare a rincalzare i cavoli”, che indicava una funerea dipartita, si arriva anche all’antipatia agricola che si attribuiva tra la vite e il cavolo tanto da alimentare la credenza che mangiando del cavolo crudo ci si potesse salvaguardare dalle ebbrezze alcoliche.

Ma uno dei detti più noti e astrusi è… “nascere sotto i cavoli”! Condividiamo pure gli antichi miti che riferiscono la nascita degli esseri umani direttamente dalle piante, ma questo della genitura dalle crocifere è sicuramente la più originale. Forse per svicolare agevolmente da risposte imbarazzanti in tema di sessualità e frutto di una cultura contadina, la nascita sotto le foglie del cavolo ci riporta a valenze e gesti arcaici, dove il modesto cavolo assurge a un simbolismo universale. La raccolta dei prodotti del mondo vegetale è stata attività riservata da secoli alle donne, così anche nell’ambito dell’orto, le contadine, nel gesto di cogliere il corimbo e nel tagliare la radice/cordone ombelicale dalla Madre Terra erano considerate come delle “levatrici”, le donne depositarie delle conoscenze fondamentali dell’arte del partorire. Il fusto della pianta, come verga vegetale fallica, emerge dalle ampie foglie come in uno spazio femmineo, a ricordare l’antica simbologia orientale del principio delle polarità opposte e complementari dello shiva lingam, sorretto dalla inseparabile yoni.

Una digressione letteraria, seguendo il tema di questo scritto e l’olezzo di cavoli (disprezzato dai più e come giustificazione per non consumarli) ci fa giungere al libro di Sergio Tofano, pubblicato nel 1920, intitolato, appunto, I cavoli a merenda. L’autore, più noto con lo pseudonimo di Sto, il creatore del personaggio del signor Bonaventura, ci avvince in una raccolta di novelle surreali ed esilaranti come quella della fanciulla, futura principessa, con una voglia di cavoli trascinati che nascondeva volgendo il viso sempre solo da una parte.

A proposito di letture, un altro autore prezioso, ma dimenticato, Fabio Tombari in Rena e Rondò:

Che anche il cavolo sia celtico? Nella storia che sto compilando ho detto che i soli ortaggi di cui i Celti ci hanno lasciato tracce nei loro canti, sono i cavoli. Le migrazioni dei popoli? Necessità dietetiche. Letture magari mentre bolle una sana e saporita ricetta a base di Crucifere.

Bibliografia

Jean Valnet, Cura delle malattie con ortaggi, frutta e cereali, Giunti.
Fabio Tombari, Rena e Rondò, Mondadori.
Sto, I cavoli a merenda, Adelphi.
Alfredo Cattabiani, Florario, Mondadori.