Con l’uso del fuoco l’uomo (Homo sapiens) ha raggiunto la consapevolezza di poter dominare la natura e conseguentemente superare meglio le difficoltà della vita. Certamente anche gli antenati che ci hanno preceduto (Homo erectus, Homo habilis, Australopithecus africanus e Ardipithecus ramidus) conoscevano il fuoco, per esempio quello provocato dalle combustioni naturali nei periodi di siccità e dai fulmini oppure dalle eruzioni vulcaniche che spesso causavano vasti incendi nella savana; è però solo a un certo momento che l’uomo, il sapiens, ha pensato di poterlo sfruttare alimentandolo con tizzoni accesi per riscaldarsi, per difendersi dagli animali feroci, soprattutto durante la notte, per cuocere carne, cereali e vegetali carichi di vitamine e di molte proteine. Inoltre, il fuoco rappresentava uno strumento igienico importante per poter allontanare dai siti abitati dai sapiens topi e zanzare, portatori di malattie.

Alcuni resti di focolari, di cui però non si è certi se siano stati sfruttati o meno, risalgono a molto prima dell’arrivo dell’Homo sapiens, cioè all’Australopithecus africanus, vissuto tra 3 e 2 milioni di anni fa. Sul fatto però che questo nostro lontano antenato ne abbia capito l’importanza non ci sono certezze. È invece certa l’esistenza di queste capacità simboliche nel Genere Homo del Paleolitico inferiore tra 2,5 milioni e 200mila anni fa e quindi non in altre specie pre-umane che comunque erano già tutte estinte, e molte a causa dell’Homo sapiens.

La scoperta del fuoco insieme alla stazione eretta ha segnato l’inizio più importante della nostra evoluzione. A dire il vero, prima che diventassimo Homo sapiens, c’è stato un nostro antenato che aveva probabilmente cominciato a far uso del fuoco, cioè l’Homo erectus, una sorta di Prometeo che aveva cominciato a reggersi e a camminare sulle proprie gambe.

Senza l’uso del fuoco, l’uomo non avrebbe potuto svilupparsi. Si è trattato di un fenomeno culturale fondamentale, l’invenzione da parte di qualcuno, il più intraprendente, del modo di conservare il fuoco, che poi l’ha diffuso a tutta la comunità, come fece per primo uno scimpanzé che costruì e poi utilizzò dei bastoncini per l’estrazione delle termiti dai termitai.

Sull’uso del fuoco ci sono diversi riscontri paleoantropologici. Sono state trovate delle tracce in diverse parti del mondo, per esempio nel sito di Terra Amata, vicino a Nizza, nel sito di Vertesszöllös in Ungheria, in quello di Petrolona in Grecia e in altre parti dell’Europa, ma anche in Cina, nei pressi di Pechino, nel sito di Choukoutien costituito da un insieme di grotte che hanno portato alla luce i resti di un nostro antenato che aveva preceduto la comparsa dell’Homo sapiens, il cosiddetto Uomo di Pechino (Homo erectus pekinensis), vissuto nel Paleolitico superiore tra 6 e 200mila anni fa. In queste grotte sono stati rinvenuti diversi utensili paleolitici e resti di animali; qui l’uso del fuoco e soprattutto il suo mantenimento avrebbero potuto essere importantissimi, ma a sfruttarlo per primo, forse, non è stato l’Uomo di Pechino, ma successivamente noi uomini (sapiens) utilizzando gli stessi luoghi e le stesse grotte.

Nel passato l’uso del fuoco ebbe un significato simbolico straordinario; per la prima volta l’uomo era capace di controllare una forza della natura ritenuta sovrannaturale. Un altro fatto non secondario è che l’uso del fuoco ha permesso ai nostri lontani antenati di penetrare in territori ostili e freddi, come il Nord America e la Siberia. È stato anche importante ai fini della coesione dei gruppi familiari che si riunivano intorno a esso e che insieme si riscaldavano, mangiavano e comunicavano, come facciamo noi uomini moderni quando ci sediamo davanti al focolare.

Per arrivare all’accensione del fuoco, ad esempio, con della pietra focaia o per strofinamento tra due legni per bruciare dell’erba secca, si dovranno aspettare i periodi successivi, alla fine del Quaternario, all’epoca dell’ultima glaciazione, quella di Würm, che terminò circa 10mila anni fa.

Anche l’Uomo di Neanderthal (Homo neanderthalensis) che aveva una tecnica per la costruzione degli strumenti (dardi, asce, ecc.) e che viveva in luoghi piuttosto freddi, probabilmente sfruttava i focolari naturali, forse riusciva anche ad accenderne dei nuovi, a manipolarli e renderli innocui.

Successivamente, in periodi a noi più prossimi, il fuoco venne usato per lo svolgimento di riti tribali e cerimonie, dandogli un significato purificatore e quindi religioso. Infatti, il fuoco ha alimentato la mitologia in ogni parte del mondo per millenni ed è parte integrante delle tre principali religioni monoteistiche (cristiana, musulmana ed ebraica). Non a caso, Mosè sul monte Sinai ricevette dalle mani di Dio i dieci Comandamenti scolpiti con il fuoco su di una pietra.

Si è fatto uso del fuoco, un fuoco che non doveva essere mai spento, anche per propiziare il futuro, per auspicare grandi successi nella vita. Così sugli altari facevano le vestali nel periodo romano e gli aztechi durante i sacrifici umani. Questo non ci deve meravigliare perché anche oggi il fuoco può assumere un significato di sacralità; si pensi, per esempio, alla fiamma che non si deve mai spegnere di fronte ai monumenti del milite ignoto o alla fiamma olimpica che viene trasportata da un continente all’altro tenendola sempre accesa.

Gli scimpanzé

Sull’uso del fuoco, ciò che è certo, è che è iniziato quando l’uomo ha cominciato a raggiungere un’elevata capacità intellettiva, psicologica e cognitiva, quando l’evoluzione del suo cervello glielo ha consentito, quindi quando siamo passati dai 940 cc. dell’Homo erectus ai nostri 1250 cc. circa.

Ovviamente uno scimpanzé non ha la capacità cranica dell’uomo, nemmeno quella dell’Homo erectus, eppure è l’animale vivente con cui abbiamo più cose in comune di qualsiasi altro. Infatti non è un caso che tutti gli animali, esclusi gli scimpanzé, forse anche i babbuini, temono il fuoco e lo rifuggono, provano terrore alla sua vista. Gli scimpanzé, almeno alcuni, che sono stati osservati nella savana di Fongoli in Senegal, di fronte a degli incendi naturali si sono comportati in maniera molto diversa rispetto a tutti gli altri animali. Non solo non sono scappati, ma, incuriositi e con tutta calma, lo hanno ammirato, anche se da una certa distanza, e ne hanno seguito gli spostamenti dovuti al vento e alla densità della sterpaglia.

La curiosità degli scimpanzé per il fuoco, forse, è dovuta al desiderio di fare esperienza con un nuovo elemento della natura. Gli scimpanzé osservati ne seguirono e anticiparono persino l’andamento, cioè se si sviluppasse in una direzione piuttosto che in un’altra, manifestando una sorta di predizione mentale, molto sofisticata per essere animali di questo genere. Non dimostrarono mai di averne paura o di alterare le loro reazioni come invece fanno di fronte a pericoli per loro molto più gravi rappresentati, per esempio, da un serpente velenoso o da un leone. Certo, gli scimpanzé non hanno mai manifestato comportamenti più sofisticati di questi, ma, se vogliamo, alle prime istanze, hanno fatto come probabilmente fecero i nostri antenati, cioè seguire il fuoco ma senza intervenire per circoscriverlo o sfruttarlo per accendere con tizzoni ardenti altri focolai e in altri luoghi per riscaldarsi o per cuocere la carne. In sostanza sembra che gli scimpanzé di Fongoli, di fronte al pericolo del fuoco, siano capaci di controllare la paura e di vincerla, e questo non è poco.

Conclusioni

Che conclusioni possiamo trarre da tutto questo? Non è facile in quanto stiamo parlando di un fenomeno, come quello del fuoco, a cui noi uomini moderni reagiamo in maniera molto diversa rispetto ai nostri antenati e ancor più rispetto agli scimpanzé. Però c’è qualcosa che ci accumuna ed è il modo in cui gli scimpanzé reagiscono di fronte al fuoco, cioè in maniera diversa da quanto ci saremmo aspettati. Gli scimpanzé, pur mantenendosi a dovuta distanza, non scappano, cercano di seguire i movimenti delle fiamme, come all’inizio probabilmente fecero i nostri antenati i quali in un primo momento ne ebbero certamente paura ma i cui comportamenti poi furono diversi da quelli degli scimpanzé. Se ne incuriosirono molto. Questa è stata probabilmente la reazione più importante dei nostri primi antenati che inizialmente si sono mantenuti a distanza dal fuoco, ma che poi, grazie al loro intelletto, capirono che quelle fiamme potevano essere sfruttate e così fecero. È così che l’uomo ha saputo uscire dal suo ambiente originario, la savana, per poi andare alla scoperta di altre terre, lontane dall’Africa e molto più fredde.

In sostanza, la sola differenza tra gli uomini e gli scimpanzé è che in noi, a un certo punto, si è “accesa una lampadina in testa” e abbiamo immaginato come il fuoco naturale potesse essere sfruttato, anche se all’inizio non sapevamo esattamente come farlo. L’abbiamo appreso lentamente, ma alla fine con successo.

Letture consigliate

Lycett S. & Chauhan, P. (eds.). 2010. New perspectives on old stones. New York, Springer-Verlag.
Pruetz, J.D. & LaDuke, T.C. 2010. “Brief communication: Reaction to fire by Savanna chimpanzees (Pan troglodytes verus) at Fongoli, Senegal: Conceptualization to “Fire Behaviour” and the case for a Chimpanzee model”. American Journal of Physical Anthropology, 141(4): 646-650.