Mike Oldfield, questo sconosciuto. Mike Oldfield il genio. Mike Oldfield, quello della musichetta de L'Esorcista: queste le reazioni più gettonate quando si fa il nome di Mike Oldfield, almeno in Italia. E, pur avendone nominate tre, a vincere, ahimè, è quasi sempre la prima.

Nonostante la sua discografia conti più di venti album in studio, senza considerare raccolte varie e live, Mike Oldfield, musicista inglese ormai sessantenne, viene generalmente ricordato per due lavori: Tubular Bells, che fece parte della colonna sonora de L'Esorcista, e Moonlight Shadow, una delle canzoni più famose degli anni 80.
Probabilmente al signor Oldfield sono bastate queste due fortunate produzioni per vivere di rendita fino ad oggi e comprarsi l'attuale villa alle Bahamas, ma ci troviamo al cospetto di un artista il cui scopo non è mai stato quello di arricchirsi attraverso la musica. Se fosse stato questo il movente principale, forse il suo nome sarebbe più popolare e le reazioni differenti.

Michael Gordon Oldfield nasce nel 1953 a Reading, in Inghilterra, da padre inglese e madre irlandese. Apro un brevissimo inciso, a mio avviso piuttosto interessante: nonostante i coniugi Oldfield non abbiano nulla che fare con l'ambito musicale, tutti e tre i loro figli (Mike, Terry e Sally) diventeranno musicisti.
Mike manifesta da subito una spiccata passione per la musica e abbraccia in tenera età la sua prima chitarra. La musica rappresenta per lui un modo di evadere dalla realtà, una realtà in cui le crisi depressive della madre e l'alcolismo del padre rendono difficile la vita familiare.

Adolescente, Mike si rende conto che preferisce passare il suo tempo a comporre con la chitarra anziché a studiare, e quando il preside gli ordina di tagliarsi i capelli perché non in linea con le regole dell'istituto, Mike non se lo fa dire due volte, gli mostra il medio e abbandona la scuola. Deciso a intraprendere la carriera musicale, comincia a esibirsi nei locali, in coppia con la sorella Sally, formando il duo The Sallyangie.

Dopo qualche anno di gavetta, la svolta arriva nel 1973. Non può saperlo ancora, ma quella cassettina su cui ha registrato da solo una suite di 48 minuti, grazie alle sue capacità di polistrumentista (suona da solo più di 20 strumenti), farà la sua fortuna. Prova a proporre il pezzo a diverse case discografiche, ma tutte giudicano l'opera troppo lunga e strana, troppo poco appetitosa per essere data in pasto al pubblico. Mike però non si scoraggia, e un giorno incontra sulla sua strada Richard Branson, proprietario dell'allora nascente Virgin Records, a cui sottopone l'opera. Sarà quello il momento in cui la sua vita cambierà per sempre. Non lo sa quasi nessuno, ma Tubular Bells, questo il titolo dell'articolata suite, è il primo disco pubblicato dalla Virgin Records e, a tutt'oggi, uno dei maggiori successi dell’etichetta.

Al contrario di quanto previsto dalle etichette che lo avevano bocciato, Tubular Bells si rivela un'autentica sorpresa. Il disco rimane al primo posto nelle classifiche di Inghilterra e Stati Uniti per intere settimane, fruttando a Oldfield e a Branson popolarità e guadagni incredibili. E non finisce qui, perché nello stesso anno all'artista inglese si presenta un'altra grande occasione, che arriva dal mondo del cinema: il primo estratto di Tubular Bells farà parte della colonna sonora de L'Esorcista. Chi non ricorda quei primi, inquietanti minuti di glockenspiel (o metallofono, che dir si voglia) che hanno fatto la storia delle colonne sonore horror? Il pezzo lascia così la sua indelebile impronta, mentre la fama della pellicola fa decollare la carriera di Oldfield, che viene travolto dal successo mondiale.

Dopo Tubular Bells vengono prodotti diversi altri album, tutti caratterizzati da lunghe suite strumentali in cui Oldfield libera il suo estro creativo, ma soprattutto le sue emozioni, che lo guidano tra molteplici sperimentazioni sonore e qualche azzardo.
Queste composizioni rimarranno il marchio di fabbrica dell'artista lungo tutta la sua carriera. Saranno infatti molto rare le volte in cui un album, nonostante la presenza di brani cantati, non ospiterà almeno una traccia strumentale.

Tra le produzioni degli anni 70 vale la pena ricordare Ommadawn (1975), Incantations (1978, a cui partecipa anche la sorella Sally) e Platinum (1979), nonostante nessuna di queste lasci veramente il segno nella memoria dell'ascoltatore. Bisognerà aspettare dieci anni affinchè il musicista inglese torni alla ribalta e faccia parlare di sé il grande pubblico.
È il 1983 quando viene rilasciato Crises, un album decisamente particolare, commerciale e introspettivo al tempo stesso. Sì, perché se da una parte vede la presenza di un lunatico e isterico brano strumentale di 20 minuti, Crises, dall'altra annovera una delle hit più popolari degli anni 80: Moonligh Shadow.
Ed è proprio Moonlight Shadow a bissare il successo di Tubular Bells, pur se per motivi molto differenti. Se l'album d'esordio aveva attirato l'attenzione e il favore della critica per la sua natura complessa e fuori dagli schemi, il singolo estratto da Crises cattura un pubblico più ampio e meno “difficile”, grazie alla sua indiscussa orecchiabilità e alla performance canora di Maggie Reilly, cantate scozzese con cui Oldfield collaborerà per molto tempo. Oltre a Moonlight Shadow (ad oggi una delle canzoni più coverizzate della storia), a fare la fortuna del disco ci sono anche Foreign Affair, altro tormentone anni 80 cantato sempre dalla Reilly, e Shadow on the Wall. E Oldfield, ormai trennenne, fra tour e interviste, vola sempre più in alto.

Dopo Crises sono stati tanti gli album e le canzoni che hanno reso Mike Oldfield un artista unico nel suo genere e, sicuramente, di difficile ricezione. A seguito del primo Tubular Bells arrivano, nel 1992, Tubular Bells II, che ricalca la struttura e i momenti della prima versione, ma con atmosfere decisamente meno cupe e complicate, e, nel 1998, Tubular Bells III, in cui si possono apprezzare momenti techno abbinati ai più classici sapori orchestrali.

Oltre a questi due lavori il signor Oldfield ha regalato perle quali The Songs of Distant Earth (1994), opera dalle sonorità new age ispirata all'omonimo romanzo di Arthur Clarke (Voci di Terre Lontane in italiano), il celtico Voyager (1996) e il recente Man on the Rocks, rilasciato nel 2014, unico altro album della discografia assieme a Earth Moving in cui tutte le tracce sono cantate (dal giovane emergente Luke Spiller). Sì, perché per quanto molti preferirebbero il contrario, Mike Oldfield fa ancora musica, si mette ancora in gioco e ha ancora molto da dire; se ascolterete Man on the Rocks non riconoscerete l'uomo di Tubular Bells, né di Moonligh Shadow.

La discografia di questo artista è così corposa e variegata che non mi soffermerò ad analizzare ogni album che ha prodotto. Quello che posso dirvi è che, spesso, mi capita di pensare che se per qualche motivo dovessi vivere della musica di un solo artista, non c'è dubbio che la mia scelta ricadrebbe sulla sua. Volete del rock? C'è. Musica anni 80? C'è. Sonorità introspettive? Ci sono. Brani pretenziosi e di nicchia? Presenti.

Insomma, la carriera oldfieldiana racchiude qualcosa come quarant'anni di musica, quarant'anni di tendenze ed esplorazioni che difficilmente si trovano in altri musicisti contemporanei, che nonostante una carriera longeva sono rimasti sempre fedeli alle loro proposte iniziali. Certo, qualche cantonata l'ha presa anche lui, non tutti i suoi lavori sono stati eccelsi, ma la maggior parte sì.

A Mike Oldfield sono stati attribuiti i generi più disparati da quando ha iniziato a fare musica: rock, folk, progressive, alternative rock, new age, pop. La verità è che li ha davvero incarnati e attraversati tutti, perché a guidarlo c'è sempre stata la voglia di esplorare nuovi mondi, quei mondi musicali che gli hanno permesso di estraniarsi e ritrovare se stesso ogni volta che ne avesse bisogno. E forse è proprio questo aspetto sfuggente a penalizzarlo, perché solitamente ciò che evade le etichette crea confusione e perplessità. Per quel che mi riguarda, non è un punto di svantaggio; al contrario, è un dettaglio prezioso.

A questo punto, però, una domanda sorge spontanea: Mike Oldfield è per tutti? Non credo. Il motivo per cui risulta sconosciuto ai più ogni volta che lo si nomina, è fondamentalmente che la sua musica, pur essendo caratterizzata da una grande varietà, da concept brillanti e da veri e propri colpi di genio, non riesce ad arrivare a tutti. Non per raffinatezza tecnica, che comunque è spesso presente, quanto probabilmente per una questione di “empatia musicale”. Per Oldfield le note sono colori con cui dipingere splendide opere d'arte, visibili tuttavia solo a chi è sulla giusta lunghezza d'onda.