Il glicine è un drago travestito da fata
Il glicine è un gigante dall’aspetto leggiadro, i suoi fiori leggeri e profumati sono una bellezza, ma la forza e il vigore di questa pianta sono sorprendenti, difficili da controllare, è una signora molto pericolosa. Il mio glicine appoggiato a un muro a sud era così veloce a propagarsi che se mi distraevo un attimo combinava guai, mordeva le inferriate di ferro delle finestre e se le mangiava, letteralmente, come un drago travestito da fata. Questa sua proprietà di avvinghiarsi al ferro, di morderlo, di stritolarlo, e digerirlo anche, senza apparente sforzo, è qualcosa di temibile e di affascinante che inquieta. Stremata da questa lotta col glicine un giorno ho deciso mio malgrado di eliminarlo. L’ho fatto estirpare da un giardiniere che ha lavorato come un matto per due giorni lasciando un buco enorme nel giardino, ma incredibilmente, un anno dopo l’altro, ricresceva come per miracolo, nonostante continuassi a tentare di sradicarlo. Alla fine ha vinto lui, mi ha un po’ commosso la sua ostinazione, adesso cresce rigoglioso ma molto meno di prima, così abbiamo smesso di litigare e sono contenta che sia tornato... però lo tengo d’occhio.

Il comitato di liberazione dei pesci
I pesci rossi nelle bocce di vetro mi hanno sempre fatto pena, la rappresentazione vivente della frustrazione, e così ho fondato il comitato di liberazione dei pesci a casa mia. Ho riciclato una vecchia vasca da bagno in giardino, l’ho nascosta tra dei mattoni di tufo, ho coperto il bordo con assi di legno, e un rubinetto rotto che perde un pochino funziona alla perfezione come ricambio dell’acqua, meglio di una pompetta elettrica. Questa vasca quasi zen è diventata la nuova casa dei pesci di tutti quei bambini pentiti che si fanno convincere da me. So cosa devo dire: che i loro poveri amici non hanno la gioia di farsi una nuotata (ed è proprio il colmo per un pesce), che sono sempre soli senza privacy, che non vedono mai la luce del sole, che non possono neppure vagamente percepire il sapore della libertà nella loro breve vita… Praticamente nessun bambino resiste a tanto strazio e così faccio contenti pesci e bambini e soprattutto me stessa, che adesso ho un bellissimo stagno pieno di pesci felici e liberati.

Il galletto Biru-biru
Ermanno l’ebanista è un grande appassionato di animali da cortile: anatre, galline, oche, cigni, pavoni. Li tiene in un grande prato adiacente alla sua piccola falegnameria, alle porte della città. Quando si schiudono le uova e nascono i pulcini ha l’abitudine di controllare i nidi per buttare via le uova non dischiuse, perché, dice, i pulcini nascono tutti insieme, se dopo due o tre giorni restano delle uova intatte vuol dire che non sono state fecondate. Un giorno stava appunto lanciando un uovo non dischiuso nel mucchio del letame, quando sente un debolissimo "piii…piii... " provenire dall’uovo; roba da non crederci, dentro c’era un pulcino mezzo morto, salvato appena in tempo. C’è da dire che questo pulcino proprio normale non era: debolino, traballante, la sua andatura era a zig-zag e a volte incrociava le zampette invece di tenerle parallele. Comunque dopo tante iniezioni fatte sotto le ali, Biru-biru (questo è il nome che Ermanno ha scelto per lui) diventa un bel galletto, piccolo sì, ma abbastanza vispo, faceva anche chicchirichì come tutti gli altri galli, solo che dopo cascava per terra, sulla schiena, per lo sforzo. Stava volentieri in braccio come un gatto e si faceva fare di tutto, ma non poteva stare con gli altri pennuti del cortile perché lo beccavano in testa. Il suo posto preferito era un mucchio di paglia dove passava le giornate con una gallina filippina che era cieca da un occhio, ma non si vedeva quasi per niente. In questa solidarietà animale tutto sembrava filare per il meglio. Una sera d’estate, dopo un temporale violentissimo Ermanno trova Biru-biru semi-sommerso nel fango, le ali aperte, il becco socchiuso, una roba da far pietà ai sassi, non dava più segni di vita. Allora Ermanno con molta tristezza scava una buca per seppellirlo, ma guardandolo per un ultimo saluto, già mezzo coperto di terra, ha come l’impressione di un tremolìo alle zampette. Infatti era ancora vivo, ed è vissuto ancora un bel po’ grazie alle amorevoli cure di Ermanno, che per evitargli altri guai da quel giorno, dopo il lavoro, lo portava a casa in una sporta di paglia per farlo dormire in garage col cane lupo, che, stranamente era suo grande amico e non gli ha mai torto una piuma. Quando è morto sul serio Ermanno non ci voleva credere, pensava che Biru-biru gli stesse giocando un altro dei suoi brutti scherzi.

Notte nera senza luna
Il mio gatto Macchio (che si chiamava così perché era nato a Comacchio, che se fosse nato a Lugo l’avrei chiamato Ugo, ma questa è un’altra storia) in una notte nera senza luna stava in mezzo al cortile agitando nervosamente la coda a destra e a sinistra e teneva fra le zampe qualcosa. Ho capito che era un comportamento strano e insolito e andando a tentoni con la mano fra le sue zampette ho sentito una specie di pallina soffice, come un piumino da cipria morbidissimo e leggero, l’ho preso con cautela fra le mani e sono andata a vedere alla luce del lampione. Un musetto nero da piccolo diavolo mi stava guardando, era un minuscolo pipistrello appena nato, spaventato più di me e per questo delizioso. Il cuore mi batteva dalla sorpresa, è stata una emozione forte, una gran bella notte, ma la cosa più difficile di tutte è stata ritrovare sua madre per restituirglielo.

La perfida datura
La datura velenosa è una delle mie piante predilette, la chiamano anche “erba delle streghe” perché il suo veleno micidiale, che contiene anche sostanze allucinogene, può servire, nella fantasia popolare, per ogni sorta di sortilegi o ammazzamenti. Viene chiamata anche "pianta delle donne in camicia" perché il suo fiore magnifico assomiglia a un drappeggio di seta. Di giorno si fa guardare per forza con quei fiori carnosi, grandissimi che sembrano sottane di una bella donna, con quell'orlo rivolto in su come a scoprire la caviglia… ma è di notte che svela la sua natura più intima, il suo fiore emana un profumo così sottile e insinuante che non puoi fare a meno di pensare che sia un profumo perfido che ti avvolge, che ti attira, e capisci che è una pianta pericolosa, velenosa e intrigante. Di giorno l'ammiri, di notte l'ami perdutamente quella strega della datura!

La storia incredibile del principe rospo
Ho avuto un rospo nel mio giardino per due anni, me l’aveva regalato un bambino. Era un rospo smeraldino con tante macchie tonde e verdine sul dorso, stava sempre sotto un vaso di terracotta che poggiava sulla terra del giardino, perché lì era più umido e fresco. Quando pioveva era il momento migliore per lui: usciva fuori e sguazzava contento nell’erba bagnata e nelle pozzanghere. Un giorno sono rimasta a bocca aperta, ha fatto qualcosa che non avrei mai creduto potesse fare, l’ho visto che si arrampicava sotto la pioggia lungo i tralci dell’edera e ha scalato un muro alto due metri e mezzo. Sono dovuta andare a recuperarlo dalla vicina di casa dall’altra parte del muro. Non avevo mai sentito dire che i rospi si arrampicassero come i gatti, ma l’ho visto con i miei occhi. Mi hanno detto che forse cercava una compagna, una femmina, accidenti che temperamento… Anch’io aspetto il mio principe rospo, che si decida ad attraversare il canale e a scalare la torre dove sono rinchiusa, ma,
presto, presto.

Lucertole maldestre
Le lucertole si mettono sempre nei guai, sono maldestre e devo salvarne moltissime, le trovo spesso mezze morte negli annaffiatoi perché ci entrano dentro e poi non riescono più a uscirne, senza coda che gliel’ha rubata il gatto, imprigionate nei posti più impensati; e così ho deciso di aiutarle: un po’ di sassi sotto a un albero secco e loro sembrano gradire perché stanno sempre là, lontano dai pericoli. Quella è diventata la loro casa, di giorno al sole sul tronco dell’albero, di notte nascoste a dormire fra i sassi. A me piacciono perché sono come un leggero, impalpabile soffio di preistoria, sono ataviche, ultimi rettili gentili dei nostri giardini, come dei piccoli coccodrilli nostrani, però innocui e maldestri.