C’è uno spazio di penombra, silenzioso, lontano nel quale è ancora possibile ritrovare la vicinanza con il nostro respiro che ci fa provare il ritmo della serenità, la quiete senza scosse della beatitudine che avvolge la nostra anima smarrita e la placa.

C’è uno spazio nel quale ritirarsi per ritrovare le parole che danno corpo alle immagini suscitate dai pensieri felici, che custodiscono le impronte seguendo le quali possiamo raggiungere la dimora dei sogni.

C’è un luogo nel quale prendere rifugio, un approdo verso il quale fare rotta per incontrare le visioni che ancora restano impresse nei nostri ricordi e ridare loro linfa e nutrimento attraverso la parola che sa ricrearne le architetture ed evocarne l’intensità.

Mi perdo con piacere in questo spazio sconfinato dove posso ritrovare i versi che ho amato, le parole già udite alle quali ridare voce per poterle ascoltare con rinnovata emozione.
Sono parole che curano, parole che guariscono, parole che custodiscono segreti, parole che insegnano ad amare e a morire, a liberare l’anima e il corpo dalle catene dei pregiudizi, dal sospetto.
Parole che aiutano a superare le barriere della paura, ad oltrepassare il limite della lontananza, parole di una lingua capace di esprimere gioia, di evocare bellezza, di attingere dal profondo della nostra anima, di specchiarsi nella poesia adagiata da secoli nella memoria del nostro sapere.

Devi augurarti che la strada sia lunga.
Che i mattini d’estate siano tanti
quando nei porti –finalmente, e con che gioia-
toccherai terra tu per la prima volta:
negli empori fenici indugia e acquista
madreperle coralli ebano e ambre
tutta merce fine, anche profumi
inebrianti che puoi,
va’ in molte città egizie
impara una quantità di cose dai dotti.

(C. Kavafis, Itaca)

Sento risuonare frasi che credevo perdute e ritornano alla mente i colori caldi di un passato potente di emozioni.
Incontro i rossi dei tramonti sulla prateria, del fuoco che brucia nelle fredde notti sotto l’universo stellato.
Grigio e rosa si contendono il cielo sopra la grande quercia.

L’argilla lavorata da mani esperte è pronta per essere incisa da tagli perenni.

Lì la donna dai lunghi capelli sta seduta sotto la grande acacia e quando le parole escono dalla sua bocca si accendono come luci nel buio della notte e narrano storie fantastiche senza tempo e senza fine.

Altro non chiedo alle parole se non di lasciarmi assaporare la sensazione di libertà che provo abbandonando ogni rigore, ogni schema per librarmi nell’aria tersa dell’utopia, nella trasparenza adamantina della meraviglia: parole, soltanto parole per disegnare costellazioni non ancora scoperte, per inseguire presagi, chimere e desideri.

Sacri segni silenziosi tracciati nell’aria: le parole arrivano in gran quantità, ci sono tutte.
Si stringono, si addensano, si accordano, si muovono, fremono, frugano in ogni angolo della memoria per far rimbalzare squarci di vissuto, per ricreare cammini fantastici, per azzardare percorsi che rompono la norma del tempo e disegnano distese assolate di leggerezza.

Con emozionata gratitudine si lasciano versare sul foglio come colori sulla tela, pronti ad accogliere l’acqua che darà loro la forma, in attesa di prendere corpo e darsi alla vita.

C’è bisogno di lasciarsi scorrere, di andare senza meta, senza un fine che non sia quello di fantasticare, di inseguire elefanti di smeraldo, di nuotare nel morbido grembo del lago dorato, di immaginare animali volanti poggiati su aquiloni variopinti.
C’è bisogno di liberare le parole dal dire oscuro della necessità, di farle respirare di lucentezza.

Nell’erba cresciuta sopra
le cause e gli effetti
qualcuno deve sdraiarsi
con una spiga fra i denti
e guardare le nuvole.

(W. Szymborska, La fine e l’inizio)

C’è bisogno di farle rientrare nei giardini profumati di gelsomino per raccontare la storia della principessa della profezia, rapita dal mare in tempesta e restituita alla Terra di mezzo, là dove si alzano gli alberi dalle grandi foglie pendenti come ali di farfalle che riposano. Sono colmi di insetti dagli occhi di gufo che alimentano gli spiriti.

La sorpresa e la condivisione sono entrate nel palazzo di madreperla, hanno spalancato le finestre e lasciato entrare un sogno dimenticato:

torno ad attraversare il lago gelato come facevo da bambina, mia madre mi tiene con forza la mano, so che non potrà capitarmi nulla di male, non ho paura, so che arriveremo a quella casa che profuma di ginepro, sento l’odore del fumo che esce dal camino e continuo a camminare sul ghiaccio, con l’aria gelida che mi fa rosse le guance, fatico a sentire i suoni perché le orecchie sono coperte dal berretto di pelliccia, ho la sensazione che qualcuno mi stia dicendo qualcosa ma non riesco a sentire, arrivano altre persone, la mano di mia madre stringe forte la mia, la guardo ma non riesco ad incontrare i suoi occhi, mi pare di non riconoscerla.

Le frasi possono dipanarsi con gentilezza, con pazienza, con giocosa saggezza, senza obbligo di significare, senza timore di venir meno a grandi verità.

Lo sguardo e il cuore stanno in equilibrio sul filo dell’immaginazione, restano in ascolto, restano in attesa, con stupore, con meraviglia e curiosità, come in un fantastico gioco.

Ogni parola versa qualcosa di sé nella coppa d’ambra che conserva le emozioni: pensieri, speranze, lacrime, sorrisi mancati, gioia e dolore.

Ogni parola nutre l’ispirazione che infonde nel cuore il soffio vitale che dirada l’oscurità.

Le parole si liberano da ogni controllo, sono felici di essere soltanto se stesse, forti della loro mirabile unicità.

Le parole si tuffano nei ricordi, si concedono alla loro immaginifica visione.

In cammino verso il pozzo secolare ascolto la voce antenata che dimora dentro di me e lascio che sia la sua saggezza a guidarmi.

Ha inizio la sequenza dei cerchi, rotondi come occhi di civetta.

Sotto la torre del tempio la donna pronuncia il nome potente che dissolve il segreto degli anelli d’ametista.

Ricami filati sull’ampio manto di porpora scrivono sequenze di misteri solenni: le parole si fanno fruscio, si fanno bisbiglio.

Il respiro che dà nutrimento a tutto ciò che vive riempie le parole con la forza del suo soffio ed evoca un turbinio di suggestioni: la luce , i colori, l’odore della terra, la voce delle onde, il miracolo dell’arcobaleno, il profumo delle stagioni nell’eterno ciclo delle esistenze.
Le parole si inebriano in una fantasmagoria di immagini che dicono altra vita, che richiamano altri umori.
Viaggio di vibrazioni originarie, potenza creatrice, trama sonora sposata al suono dell’universo, liberata dalla fatica del dimostrare.

Le parole spalancano il grigiore del dire senza qualità per riversarsi e scorrere come un torrente alimentato dalla primavera che inonda terra fertile.

Anche dall’ombra della mente affaticata dal passare dei giorni emerge uno spiraglio di coraggio, un sentore di salvezza.

Sono parole che sanno alleggerire il peso delle emozioni, parole nelle quali ritrovo le tracce delle attese, dei sentimenti che si sono depositati negli anfratti del cuore.

Comprendo il silenzio delle vie deserte fermate nell’assenza di voci.

Torna a mostrarsi quel tramonto sul mare: la giovinezza lasciava che il vento increspasse il suo abito, le morbide colline del corpo trascoloravano in seducenti richiami.

Tra le onde spezzate dei pioppi rimane il segreto della notte che si fece luce.

Non serve il filo per uscire dal labirinto.

Cangiante è il bosco di betulle.

Nebbia di umida consistenza filtra la luce.

Fulminea presenza, rapita felicità.

Edera secolare ricopre l’ara del sacrificio.

La distesa gialla attende il segno della mietitura oltre la grande porta.

L’aurora dalle dita di rosa torna a risplendere.

Afrodite siede ancora sul trono variopinto e attraversa il cielo sul carro trainato da passeri.

E sempre l’albero si stacca dalla radice affondata con duri colpi, sicuro dell’essenziale filtro di aria respirabile.

C’è un luogo nel quale non entrano parole di guerra, il pensiero dell’odio, la rabbia che uccide, un luogo nel quale la parola nutre e disseta in un antico gesto di ospitalità, un luogo che i venditori di parole non conoscono. È bello ritornarci ogni volta che cerchiamo libertà.

A cura di Save the Words®