“Animali da compagnia” non è una dicitura che mi piace. L’uomo non esula certamente da quell’essere che viene definito come animale. Scientificamente ed emotivamente lo è con tutte le sfaccettature che ciò comporta. Infatti, potremmo sostenere che la nostra sfera sensoriale non è certamente dissimile da quella che possono avere altre specie animali. Tutto dipende dai fattori sensoriali che vogliamo prendere in considerazione, e da come vogliamo vedere il percepirsi reciproco tra le varie specie. Questo tipo di percezione reciproca vorrei considerarlo come un continuo arricchimento.

Un percorso di vita, anche se condiviso a volte soltanto per breve tempo, che ci può lasciare delle impronte indelebili nel modo in cui prendiamo coscienza e consideriamo il mondo intorno a noi. L’invito che voglio fare a tutte e a tutti è di lasciarsi “addomesticare” dai propri animali, convivendo insieme a loro, conoscendoli, e considerandoli pienamente come dei compagni di vita, con i loro caratteri, con i loro modi di fare, con abitudini e capricci. Questo particolare modo di percepire gli animali ci può portare ad acquisire un nuovo valore, più leggero e sicuramente più profondo: ci può condurre soprattutto a provare sentimenti ed emozioni che faccio ancora fatica a descrivere razionalmente.

Tobi

Ho provato l’altra sera
a dare nomi alle stelle
e dopo appena due, mi sono fermato
non conoscevo abbastanza parole
per continuare.

La sera era davvero nera,
non opprimente, ma aliena
a poco mi sembrava
di non saper mettere
appena due parole in fila
di non sapere quali versi
usare. In casa ho nove specchi
e dalle sei finestre
vedo tre pini. Anch’essi non parlavano
il vento alitava
infastidendo appena
la pagina del libro edizione economica semi-aperto
accasciato male, sul tavolo
giusto per tenere il segno.

Con i piedi tracciavo,
sopra le piastrelle sporche
del balcone, carezze
e intercettavo le spazzate lente
del tuo scodinzolare.

Hai tu nome per tutte le stelle
e non serve altro.
Hai tu lingua per il vento stanco
hai tu innocenza per me
e per i pini.
Giorno per la sera infinita
dopo esser stati bambini.

Mimmo

Tu come affronti la morte?
Io come un bambino
con le calze lunghe
ed i calzoni corti
che non si incontrano
e lasciano i ginocchi esposti al freddo
novembrino che batte la battigia
che non immaginava così
quando ha chiuso la valigia
per andare a trovare i nonni al mare
che se li ricordava seduti
in penombra nel giardino
a far passare il pomeriggio
dopo aver raccolto i pomodori.

Ora la spiaggia si espande
tra le grigie conchiglie
e le onde schiumano piano
tra qualche ricordo umano
cartacce, scatoline e bottiglie
dove sono finite le biglie
dalle lunghe piste?
E tutte le sciure con le riviste?
E tutto quel calore che ti chiudeva gli occhi
con la mamma che ti svegliava a mano leggera
il papà che dal mare risaliva la sera
per raccontarti una storia.

La sabbia è fredda
e raschiando con i piedi
si troverebbero solo altre domande.
Da seduti ogni mare
è quasi uguale e ci spinge a cercare
oltre il limite proposto
e i granelli nel mare
sembrano quasi fare rumore
e nelle conchiglie si può ascoltare
tutte le voci d’estati
che saranno, che sono state
e se, tolte le calze e i calzoni
lascio tutto al freddo mare
posso ancora nuotare con te
ricordando spruzzi e fiotti
preannunciando altri giochi
che brillano tra le onde
accarezzate dal crepuscolo.

Uscendo, richiamato dai nonni preoccupati,
speranzoso corro in mutande
tra le sabbie e di lontano
tra le ombre si avverte un miagolio.

E tu come affronti la notte?
Non ho un modo chiaro,
ma scorta oltre le tenebre il mio io.