Da quanto tempo mi trovavo lì? Non riuscivo a ricordarlo. Avevo decisamente perduto la cognizione del tempo. Le giornate vorticose, le notti agitate e gli ultimi eventi mi avevano letteralmente fatto dimenticare di essere su di un’isola circondata dal mare. E non ero ancora riuscito neppure a fare un bagno, incredibile! Decisi di recuperare il tempo perduto e nel pomeriggio mi preparai per andare al mare e starci più a lungo possibile.

Tra le varie possibilità optai per una caletta nel versante occidentale dell’isola, un posto che mi dicevano tutti essere incantevole. Si trattava di camminare un po' e io ero pronto a farlo anche se sapevo che il terreno fuori dal villaggio era impervio e non c’era traccia di sentieri che si potessero definire tali. Non senza difficoltà, quindi, raggiunsi un primo promontorio. Lassù, superato un boschetto di lentischio e i ruderi di una vecchia torre, potei gettare un primo sguardo sulla baia: sorpresa! Non ero solo!

In mezzo alla spiaggia c’era una donna. La vidi correre in controluce verso il mare infuocato dal tramonto, una visione che mi riportò alle classiche figure nere che ornavano i vasi antichi. Acquattato nella macchia rimasi a guardarla per qualche minuto. Solo quando uscì dall’acqua e si distese sulla sabbia, decisi di uscire allo scoperto imbroccando il ripido sentiero che scendeva al mare. Giunto in spiaggia, a distanza ravvicinata dalla misteriosa bagnante, scoprii quello che in fondo temevo: era Sabine. Se ne stava beatamente distesa, braccia e gambe allungate, tutta nuda.

Sul suo corpo nessun segno di costume ma ascelle e pube scurissimi. Non potei non notare certi dettagli dei suoi peli, imperlati d’acqua marina e sinuosamente curvi, come alghe umide… Quando ecco si accorse di me, senza scomporsi. Proteggendosi gli occhi con la mano mi guardò e mi sorrise invitandomi a stendermi al suo fianco.

-Benvenuto caro – disse con voce soave – lo sapevi che in questa spiaggia è vietato indossare il costume?, aggiunse strizzandomi l’occhio. Vinsi in un istante tutte le resistenze dettate dal mio innato senso del pudore e mi spogliai, per sdraiarmi subito dopo, incredulo, accanto a quella Venere...

Bastò poi il tocco intrigante della sua mano sul mio ventre a rendermi pronto e lei, con mossa ferina, mi fu sopra e mi sorrise, cominciando a basculare il bacino con dolcezza. Per qualche interminabile secondo mi parve essere noi un tutt’uno con il ritmo della risacca poi cambiò qualcosa perché ci fu uno spasmo doloroso, aumentò la velocità e i nostri movimenti si fecero frenetici. A quel punto mi abbandonai totalmente a lei, ai suoi gemiti e alle frustate dei suoi capelli bagnati... sul mio viso trasfigurato in una smorfia estatica.

-Perchè sei venuto a Fourni?, mi chiese più tardi, dopo una serie di abbracci senza fine...
-Per fare una vacanza...
-E poi?
-Per incontrare te!
-Cosa fai? Stai cercando di sedurmi?
-Non trovo altri motivi... io non…
-Non capisco perché fai il finto tonto con noi, sappiamo perché sei qui...
-Sappiamo chi? Tu e quel tuo fantasma di famiglia? Mi hai fatto venire un’ansia che non puoi immaginare… con quella storia...
-Anche il tuo amico aveva gli stessi interessi…
-Quale amico?
-Glauco.
-Hai conosciuto Glauco? Non mi dire che… Sabine, tu sei una cara ragazza ma io conosco così poco di te e della tua vita... e poi ti ripeto, sono qui per fare una vacanza... Ma è così strano?
-Lasciamo stare. Mi ha detto Theo che la tua camera in affitto ha i giorni contati, potresti venire a stare da noi - disse – la casa è grande.

E, detto ciò, visibilmente indispettita, si era alzata, aveva raccolto le sue cose e dopo aver riempito la grande borsa di paglia era rimasta ferma per un istante a guardarmi. Io feci lo stesso, senza aggiungere una parola.
-Ci vediamo da Teo più tardi, disse.

Dopo essersi voltata iniziò a camminare in direzione del villaggio scomparendo quasi subito alla mia vista. Rimasi alquanto turbato da quel suo comportamento e forse per questo mi fermai in spiaggia ancora un po' a pensare. Lo feci però in uno stato di crescente inquietudine, con mille domande in testa: non riuscivo a spiegarmi cosa ci fosse dietro i discorsi di Sabine e non capivo quale fosse il ruolo del mio amico che oltretutto avrebbe potuto avvertirmi di tutta quella storia, fantasma compreso. E poi che cosa era venuto a cercare Glauco a Fourni? Perché non mi aveva detto niente?

Tornai al paese che era già buio, il cielo punteggiato da milioni di stelle. Il mare nel frattempo, come ogni sera, era tornato calmo. Incespicando tra le pietre e graffiandomi mani e gambe negli irti cespugli ritrovai un po' alla volta la strada di casa.

Mi rincuorò la vista in lontananza delle luci della taverna di Theophilos e il brusio familiare dei suoi avventori ma sperai in cuor mio che per quel giorno mi venisse risparmiato un nuovo incontro con Sabine e la sua inquietante accompagnatrice. Ma altre novità mi stavano attendendo.

Si chiamava Phylateros, aveva compiuto da poco 84 anni e come molti suoi coetanei isolani, li portava bene, Il segreto? Me lo son chiesto più volte, forse l’alimentazione mediterranea da generazioni, forse l’aria del mare. Non certo il sole che da queste parti è incandescente, infatti Phylateros, si è sempre ben guardato dallo scoprirsi, addirittura si dice che non abbia mai fatto un bagno in mare in vita sua. C’era stato un tempo in cui il mare era solo dei pescatori, non si usava stare al sole, men che meno spogliarsi o bagnarsi. Altri tempi.

Theophilos mi aveva già parlato di lui, mi aveva detto che c’era un uomo del villaggio che mi voleva parlare, che aveva sentito di un italiano sull’isola e voleva a tutti i costi incontrarlo. Quella sera quell’uomo era là, seduto davanti a me. Me l’aveva presentato lo stesso Theophylos con il suo nome completo: Phylateros Occhinotols. E si era anche premunito di trovare un traduttore. Phylateros, da quando mi aveva individuato, non mi aveva più perso di vista. Ci fecero sedere a uno dei tavoli rivolti verso il mare, qualcuno portò una caraffa di bianco e dei bicchieri e Phylateros cominciò il suo interminabile racconto mettendo subito in difficoltà il giovane interprete. Si trattava di una storia del tempo della guerra, Phylo - così veniva chiamato Phylateros - aveva allora 5 anni. Una mattina all’isola era approdato un motoscafo con alcuni soldati italiani. C’era anche un carabiniere, ricordava Phylo. All’epoca a Fourni si sapeva poco della guerra che stava infiammando l’Europa, per questo i nuovi arrivati erano stati accolti con curiosità e simpatia. In fondo si trattava di ragazzi. Le cose, purtroppo, andarono diversamente. Il carabiniere si dimostrò molto brusco con gli abitanti del paese, cominciando a girare tra le case sfondando le porte e urlando frasi minacciose a tutti. Il piccolo Phylo, nascosto dietro a un grande otre d’acqua, vide bene i soldati quando entrarono nella stalla e uscirono orgogliosi tenendo strette tra le mani alcune galline, l’unica pecora e... il suo asino! Successe che tutti gli animali requisiti quella sera furono sgozzati, fatti a pezzi e arrostiti su delle griglie rudimentali. Per Phylo quella fu in assoluto il giorno più triste e traumatico della vita.

Nel tardo pomeriggio era giunta anche un’altra barca, assai più grande e grigia e ne erano scesi soldati biondi, armati fino ai denti e con divise mimetiche. Seppure parlassero un’altra lingua non si rivelarono meno crudeli con gli isolani. Li comandava un tipo alto e magro, visibilmente nervoso. Indossava alti stivali neri e molti notarono che l’ufficiale si preoccupava di tenerli puliti, impresa ardua da quelle parti...

-Sei di Milano? - mi chiese Phylateros a bruciapelo...
-Si! - avevo risposto, senza immaginare che...
-Allora conosci Gianni Rossi? - aveva aggiunto lui prima che io potessi chiarire la mia posizione.
-Mah...veramente no. E poi ci sono tanti Rossi a Milano, sai? È una grande città.
Risposi notando immediatamente l’espressione accigliata del suo volto. Ma che razza di storia pensai, mentre percepivo l’atteggiamento di Phylo farsi sempre più ostile nei miei confronti.
-Ma perché ti interessa tanto trovare quel Gianni Rossi? - chiesi alla fine.
-Perchè quello è il nome del carabiniere che gli ha preso l’asinello! - esclamò Theo, entrando a gamba tesa nella nostra conversazione.
-Che stupido! Avrei dovuto immaginarlo! - risposi cercando inutilmente un cenno di comprensione da parte di Phylo. Stimolato da tutti quei racconti bellici fui improvvisamente attraversato da alcune rimembranze oniriche e rivolgendomi ai presenti, completamente sovrappensiero, chiesi:
-Ma il comandante tedesco come si chiamava? Qualcuno di voi sa dirmi il suo nome?
Vidi facce sbalordite e sospettose e a seguire un confabulare collettivo. Nel gruppo c’erano tutti gli habitué della taverna e, guarda guarda, anche il pescatore dell’altro giorno più altri due o tre volti già visti in giro in paese. Fu il giovane traduttore a rispondere per primo.
-Chiedilo a Frau Inghe! Lei lo sa di sicuro! - Tutti i presenti scoppiarono a ridere.
-Ma cosa c’entra Frau Inghe in questa storia? Non capisco.
Risposi più confuso che mai. A quel punto il gruppo si disperse ma Phylo, che fino a quel momento era rimasto seduto, si alzò in piedi mostrando una energia che mi sorprese. La risposta del gruppo, confusa ed elusiva mi aveva però lasciato interdetto. Ci pensò il buon Theophilos ad aggiungere il tassello mancante. Lo fece con la sua solita calma, versandomi un bicchierino di vino resinato che, devo dire, cominciavo ad apprezzare. Avvicinando la sua faccia alla mia mi disse con un filo di voce:
-Frau Inghe è la proprietaria del negozietto. Lei è stata l’amante di quel tedesco.

-Stiamo facendo grandi progressi eh? - udii la voce di Sabine accanto a me. Era strano vederla vestita. I capelli erano sciolti e ben pettinati e si notavano gli occhi truccati.
-Quali progressi, scusa? - risposi...
-Ti prendo in giro, dai! Piuttosto hai detto a Theo che vieni a stare da noi?
-Non ancora, pensavo di farlo giusto ora.
-Quando pensavi di spostarti? - mi chiese prontamente Theo che aveva seguito la nostra conversazione.
-Mah, non so... forse potrei approfittare della bella giornata di domani. Le previsioni sono ottime. Ci sarà luce fino a tardi – risposi guardando Sabine che mi faceva segni di approvazione con la testa.
-Sì, Theo, libero la camera domattina, ok?
-Bene! Ho giusto una coppia di americani, appena arrivati.
-Americani? - chiese subito Sabine, allarmata.
-Sì, americani. Collezionisti di coleotteri, mi hanno mostrato la foto di un esemplare molto raro che si trova solo qui, a Fourni.
-Andiamo dai – esclamò Sabine interrompendo Theo e la sua descrizione dei nuovi arrivati.
-Sono pronto! - risposi io. E misi le mani in tasca alla ricerca di qualche dracma per pagare il conto.

-Non ho mai visto la tua camera, sono curiosa! - cinguettò Sabine mentre salivamo insieme la scala in calce bianca.
-Ne sei sicura? - risposi io pronto a osservare ogni sua reazione.
-Sì, perché me lo chiedi?
-Era un’impressione.
-Hai già mangiato?
-No, perché me lo chiedi?
(Sabine ridacchiando...)
-Potremmo mangiare insieme dopo.
-Dopo… cosa?
-Vieni qui dalla tua Sabine, vieni – disse distendendosi sul mio letto come una odalisca medio-orientale.
-Sì, ma c’è una cosa che ti voglio chiedere prima.
-Dopo, amore... dopo...

Il mattino dopo mi svegliai solo. Guardai l’ora, erano le 8 del mattino. Trovai sul cuscino un biglietto con una calligrafia sconosciuta.

Segui la strada per il monastero, la casa
è l’ultima del paese, non puoi sbagliare
resta più alta ed è circondata da piante di limone.

S

Grazie a quelle indicazioni non fu difficile trovare la casa. Percorsi agevolmente il dedalo di sentieri che si perdeva tra orti e piccoli stazzi assolati e giunsi fino a una inaspettata zona umida con tanto di fiumiciattolo, palme e canneti. Da quel punto in avanti anche la temperatura dell’aria cambiò, beneficiando probabilmente di tutto quel verde. Mentre camminavo non smisi mai di pensare agli ultimi accadimenti, all’incontro con Sabine, soprattutto alle storie sentite alla taverna. E alla misteriosa connessione tra quelle storie e quel drammatico sogno fatto di recente. Mi rimproverai di non essere riuscito ancora a scoprire se e come mai Sabine avesse frugato tra le mie cose.

Finalmente giunsi alla casa: si trattava di una villa deliziosa, dipinta a calce con qualche abbellimento decorativo attorno alle finestre e una scala doppia un po' pretenziosa. Una lunga sedia a sdraio in legno e paglia di Vienna e un tavolo con dei bicchieri mi rammentarono la presenza umana in una casa che, altrimenti, pareva abbandonata. Salii i gradini della scala e rimasi per qualche minuto in attesa di fronte al vecchio portone. Poi vidi che era aperto. Lo spinsi in avanti non senza fatica e mi trovai in un androne fresco dai muri scrostati con un grande dipinto di un militare a cavallo incorniciato in oro che… non feci in tempo ad ammirare perché mi arrivò una botta tremenda sulla testa. Con lo sguardo semi-sfuocato riuscii appena a percepire la presenza di una persona accanto a me. Un individuo che non si fece pregare due volte e mi sferrò un secondo colpo micidiale alla testa, così forte da farmi stramazzare al suolo, svenuto.

Mi svegliai con un terribile mal di testa, sdraiato in una stanzetta umida, con un’unica finestra oscurata da una tenda. E dentro un’angoscia pazzesca. Cercai di muovermi ma scoprii di essere legato. Fui tentato allora di urlare per chiedere aiuto ma udii delle voci e istintivamente mi trattenni, preferendo mettermi in ascolto. C’era qualcuno nella stanza accanto, non una ma più voci e tutte di persone che parlavano in italiano. Dove diavolo ero finito? In quel momento la porta si spalancò e con mia grande sorpresa apparve Theo.
-Theo! - esclamai sorridente, immaginando di essere salvo.
-Ah, sei sveglio!? - mi disse lanciandomi una occhiata torva.
-Theo! Theo! Ma tu parli italiano?
-Taci se hai cara la pelle!
-Ma Theo...che succede? Io non capisc….

Non feci in tempo a finire la frase che Theo mi strattonò con forza e con l’ausilio di un coltello mi liberò dai legacci che mi bloccavano mani e piedi. Subito dopo mi afferrò per un braccio e mi condusse nell’altra stanza. Quello che vidi appena entrato mi lasciò di stucco: seduti attorno a un lungo tavolo c’erano tutti gli uomini che solitamente incontravo alla taverna, vidi anche il vecchio Phylo e il pescatore e altri ancora di cui però non conoscevo il nome.

-Ah, ecco il nostro infingardo! - esclamò in perfetto italiano un uomo barbuto che avevo visto spesso bere e discutere animatamente con Theo…
-Aspettavo questo momento da cinquant’anni – aggiunse con un impeccabile accento napoletano il buon Phylo.
-Ma che diavolo sta succedendo? - urlai sempre più angosciato.
-Lasciatelo stare! Si impose, all’improvviso, una voce di donna.
Mi volsi e alle mie spalle vidi la baronessa insieme a Sabine. Credetti in una allucinazione.
-Sabine! – urlai.
-Baronessa, vuole che ci occupiamo noi del ragazzo? Disse Theo.
-Non dimenticatevi che abbiamo bisogno di lui - rispose l’anziana donna.
-Theo! Ma anche tu la vedi? Anche tu vedi il fantasma? - urlai disperatamente.
-Quale fantasma? - chiese il vecchio Phylo con una sincera espressione di sorpresa negli occhi.
-Io ho paura dei fantasmi, non scherziamo – aggiunse un ragazzotto seduto accanto al pescatore.
-Il fantasma della baronessa! Sabine per favore aiutami a uscire da questo incubo – imprecai tenendo le mani giunte.
-Era solo una messa in scena, Gian. Un’idea di mamma, per impressionarti. E metterti alla prova.
-Sabine! Ma tu da che parte stai? Ma che razza di viper... scattai in avanti cercando di afferrarla per i capelli. -Prendetelo!
Ordinò la baronessa.
A quel punto apparirono due giovani uomini tarchiati e muscolosi che mi presero di forza, immobilizzandomi.
-Bello mio, hai finito di rompere l’anima a tutti – mi apostrofò uno dei due con forte accento romano.
-Ma cos’è questa combriccola di italiani che improvvisamente si svela?? Ma chi siete veramente? Che incubo! Sto impazzendo.
-Era ora che finisse questa pagliacciata - disse a quel punto Theo.
-Facciamoci dare la mappa e poi sbarazziamoci del ragazzo.
-Ma voi siete tutti matti! Io...io…

Approfittando di un attimo di disattenzione dei due uomini, riuscii a liberarmi dalla loro presa e afferrato il tavolo con due mani lo rovesciai addosso ai presenti. Il trambusto creò un caos infernale nella stanza. Schivai i miei due guardiani e mi diressi velocemente verso l’uscita non prima di essermi fatto scudo di Sabine e della baronessa e averle spinte con tutta la forza che mi restava in corpo, contro i miei inseguitori.

Non mi voltai più fino a quando fui fuori dalla villa. Da lì corsi a rotta di collo giù dalle scale e mi tuffai nella vegetazione riprendendo a correre ancora più forte tra cespugli di rosmarino e vecchi orti abbandonati. Udii la voce stridula della baronessa dare ordini da lontano.
-Prendetelo! Non lasciatevelo sfuggire!

E poi anche altre voci, voci di uomini, mentre angosciato continuavo a chiedermi cosa fosse successo e chi fossero tutti quelle persone coalizzate contro di me. In quel momento inciampai in una radice di ulivo e caddi. Una mano spuntò da un cespuglio e afferrò il mio braccio. Mi sentii perduto.

-Ehi! - disse una voce dal tono pacifico.
Mi voltai e con un misto di spavento e sorpresa riconobbi Stefan, sì, l’odiato Stefan, spuntato non si sa bene da dove e in quel momento, paradossalmente, l’unica presenza amica.

-Stefan ! - esclamai. Nella mia voce si poteva percepire l’angoscia e il sollievo insieme.
-Ti porto via da qui! - mi disse guardandomi con benevolenza.
-Sì, aiutami...aiutami – dissi io senza nascondere tutta la mia fragilità.

Così dicendo mi lasciai condurre attraverso una forra odorosa e intricata fino a giungere ad un rudere di ovile dove Stefan mi indicò una botola in legno, sotto la quale si celava una piccola scala in pietra e mi fece cenno di scendere. Una volta dentro, rimettemmo al suo posto la copertura e ci rannicchiammo nell’oscurità. Lì rimanemmo per un tempo indefinito.

Ci fu anche un momento in cui udimmo delle voci farsi vicine, poi più nulla a parte il consueto cicaleccio delle ore più calde. Accoccolato al corpo di Stefan, che non potevo vedere ma sentivo respirare, pensai a quanto poteva essere strana e imprevedibile la vita. L’ultima persona che avrei immaginato e desiderato incontrare era diventata la mia salvezza. Fui preso da un torpore profondo e mi addormentai. Quando mi svegliai era buio, la botola era aperta e dalla fessura si vedevano le stelle. Stefan era una sagoma scura nel blu della sera. Quando sentì che mi stavo muovendo, si chinò verso di me e mi disse semplicemente: “Andiamo a casa”.

Giungemmo a destinazione in piena notte, Stefan volle seguire un percorso più lungo per depistare eventuali inseguitori. A casa ci accolse la signora Inghe vestita con una lunga camicia da notte bianca. Dopo aver scambiato qualche parola in tedesco con Stefan, rivolse a me uno sguardo benevolo e ci accompagnò all’interno dell’abitazione facendo luce con una vecchia lanterna a olio. Prima di congedarsi mi disse: “Buona notte ragazzo mio, qui puoi stare tranquillo, a domani”.

Fui svegliato il mattino dopo da alcune voci provenienti dalla casa e ripensai con una certa apprensione agli avvenimenti drammatici del giorno precedente. Mi alzai dal letto ed esplorai la piccola casa della signora Inghe fino al punto in cui le voci cominciavano a farsi vicine: attraverso la fessura di una porta dimenticata aperta rividi il negozio di generi alimentari con le sue scaffalature caotiche. Vidi anche Frau Inghe di schiena che stava discutendo animatamente con un gruppo di persone tra le quali riconobbi Theo. Capii che mi stavano cercando e ritornai nella mia stanza con il respiro affannato e il cuore in gola. Fortunatamente il pericolo passò.

Frau Inghe mi raggiunse una mezz’ora più tardi insieme a Stefan e mi invitò a fare colazione. Sul tavolo della cucina c’era un grande piatto di fichi neri e un thermos con delle tazze. Alla finestra che dava sul cortile interno erano appesi dei fiori secchi, viola e gialli. Si sentiva profumo di caffè. Se non fosse stato per certi strascichi di tensione che percepivo ancora addosso avrebbe potuto essere una mattina d’estate così piacevole!

Ma non volevo assolutamente perdere l’occasione di fare chiarezza su tutto quello che era successo. Non so perché ma sentivo istintivamente che quella donna poteva aiutarmi. Dopo il primo sorso di caffè ruppi gli indugi e chiesi:
-Voglio ringraziarvi, ieri mi avete salvato la vita. Io non so cosa sta succedendo qui, mi sembrano tutti matti. Forse voi potreste aiutarmi a capire.
-I tempi sono maturi. Ma si tratta di una storia lunga sai? Non so da dove iniziare. È bello che un discendente del maresciallo sia finalmente arrivato. Ora tutto sarà più facile - disse Frau Inghe.
-Discendente di chi, scusate?
-Del maresciallo Rossi.
-Ma io non…
-Tranquillo, capisco che tu abbia paura di svelarlo. Soprattutto dopo gli ultimi avvenimenti. Stefan mi ha raccontato. Quegli italiani sono veramente pazzi. Sono ormai tutti andati in aceto.
-Ecco sì! Vorrei sapere chi diavolo sono tutte quelle persone che bazzicano la taverna di Theo? E quel Theo lì, ero convinto che fosse un isolano purosangue e ieri ho scoperto che è più italiano di me. Perchè fare tutto quel teatro? A che scopo?
-Si tratta di uomini che alla fine della guerra decisero di rimanere qui. Facevano parte del contingente mandato a occupare l’isola nel 1944. Ci furono episodi di resistenza e molte altre tristi vicende, fatto sta che, per rappresaglia la popolazione locale fu sterminata. Solo io e il Pope riuscimmo a salvarci. Ma loro si stabilirono qui. È comprensibile, in Italia non c’era nessuno ad attenderli. Vincenzo, Michele, Ettore… non mi ricordo quanti, ma furono in molti a stabilirsi qui… Fummo costretti a vivere nascosti a lungo, per paura...
-Ma perché fingere di essere greci… perchè non mantenere le loro vere generalità?
-Per nascondersi. Per paura di essere accusati di diserzione e fucilati... E poi...poi…
-Madre! - esclamò allarmato Stefan.
-Stefan! Lui ne sa più di noi, è inutile che…
-Scusate, non vi seguo.
-Ma sì, si tratta di un oggetto prezioso che fu nascosto qui durante quei drammatici giorni e che nessuno mai ha ritrovato.
-Ah! Mi scusi, ma lei come sa tutte queste cose?
-Madre! Disse Stefan guardandola con fare interrogativo.
-Stefan! Questo non è un segreto: il mio vero nome è Nausica Daskalakis. E sono stata l’amante di Wilhem Von Hutterbrot.
-Il barone Von Hutterbrot? Ora capisco.
-Sì, anche se detto così suona troppo ridondante. Lui era una persona molto alla mano. Per me fu, da subito, semplicemente il mio Willy. Un amore travolgente il nostro. Bellissimo. Soprattutto vero. Io avevo 19 anni, lui 28.
-Ecco perché la baronessa Elisabeth…
-Povera donna. Non so se la colpì di più la notizia della morte del marito al fronte o il ritrovamento della nostra corrispondenza. Fatto sta che un giorno me la vidi arrivare a Fourni, pronta a mettere in atto la sua vendetta. E con l’obbiettivo di mettere le mani sul tesoro. Arrivando a coalizzarsi con gli ex soldati italiani che credettero in questo modo di poter avere una parte del bottino.
-Bottino?
-Sì. Diviso in due parti. Una parte costituito da una valigia con dentro milioni di dracme, originariamente dirette ai soldati greci al fronte e l’altra che ad oggi resta un mistero. Si sa che c’è ma nessuno sa in cosa consista. Nessuno a parte il maresciallo Rossi che la ricevette in custodia da Willy prima di lasciare l’isola. Willy mi parlò solo di qualcosa dal valore inestimabile. E ora che sei arrivato tu… finalmente potremo scoprirlo.
-Ehm… io veramente…
-Sappiamo che il maresciallo Rossi risiedette per alcune settimane a casa del Pope.
-È ancora vivo?
-Sì!
-Come si chiama?
-Si chiama Dimitri.
-Chi? Quell’ubriacone?
-Sì, lui. Ultimamente si è lasciato molto andare.
-E in tutti questi anni…
-In tutti questi anni ha giurato sul Padre Eterno di non saperne nulla… ma io so che in quei giorni terribili lui scongiurò più volte Willy affinché mi portasse via... E gli promise qualcosa di estremamente prezioso.
-Abbiamo la sensazione che il tesoro sia in quella casa... ma non sappiamo dove, forse tu ora ci potrai aiutare.
-Perdonatemi ma qui perdura un grosso equivoco... io non sapevo nulla di questa storia e nella mia famiglia non ci sono mai stati marescialli; quindi, è chiaro che si trattava di un’altra persona.
-Ragazzo, capisco la tua ritrosia in fondo solo tu sai dove si trova il…
-Ah no! Ricominciamo con questa storia! Io vi sono grato per quello che avete fatto per me... forse tutta questa vostra gentilezza alla fine non è così disinteressata.
-Sei svelto... mi piaci, io sono certa che potremo metterci d’accordo. Ti faccio dell’altro caffè?
-Ascolti Frau Nausica... ehm… volevo dire Frau Inghe, io non so cos’altro aggiungere. Tutta questa storia mi sembra così surreale... vorrei però farle una domanda: Sabine chi è? In questa isola di trasformisti, a questo punto mi viene da dubitare di tutti.
-Pensi che non sia la figlia della baronessa? - intervenne Stefan.
-Sì, esatto.
-Io e Sabine siamo fratello e sorella.
-Ah sì? E figli di chi... se non sono troppo indiscreto?
-Arrivarono sull’isola che erano neonati. Ricordo quella barchetta alla deriva con la scatola di cartone e i loro pianti inarrestabili… - disse Frau Inghe con tono solenne, quasi a voler sfatare ogni dubbio.
-E poi?
-Quell’estate sull’isola imperversava la baronessa. Li volle suoi e nessuno poté opporsi. Io ero l’unica donna isolana ed ero sola. Per questo avrebbe dovuto essere più naturale affidarli a me; invece, lei si impose e li ebbe entrambi. Furono educati in Austria e per questo oggi, parlano tedesco. Ma la loro origine è sicuramente greca. vero Stefan?
-Senza dubbio.
-Ogni estate sono tornati qui. Li ho visti crescere. Poi, non so perché, Stefan si affezionò a me e raggiunta la maggiore età decise di cambiare casa. Fu subito come un figlio per me. La sua parlata tedesca mi riportava ogni volta a Willy, sentivo che c’era un nesso. Il destino non fa le cose a casaccio. Fu lui ad insegnarmi la lingua e a chiamarmi per la prima volta Mutter Inghe... e così anch’io mi trasformai in qualcosa che non avrei mai immaginato prima. Ma la baronessa non mi perdonò mai né perdonò le mie scelte e anche tra Stefan e Sabine si sviluppò col tempo un rapporto un po' perverso di odio e amore... una cosa non sempre facile da gestire.
-Ma che storie! Aveva ragione Glauco! - esclamai sovrappensiero.
-E Glauco chi è?
-Scusatemi, si tratta solo di un amico.
-Allora amico, ci aiuterai a chiudere questo ultimo cerchio?
-Sono un po' confuso, è tutto successo così in fretta. Ho bisogno di pensarci su... ma forse ancora prima di riposare, sì ho tanto bisogno di riposo.
-Vieni con me - disse la donna - ti porto nella stanza che è stata di Stefan per tanti anni. Ora la usiamo per gli ospiti.

Fui accompagnato così in una camera fresca con un giaciglio essenziale e una grande libreria. Alle pareti anche dipinti e foto, soprattutto foto di Vienna. In una che attirò tutta la mia curiosità c’era anche Sabine da ragazza, con gli stessi occhi vispi di oggi e il palazzo della Secessione sullo sfondo. In un’altra la baronessa a cavallo. La storia di quei ragazzi aveva qualcosa di straordinario, di epico. Le cose per loro sarebbero potute andare in modi molto diversi, pensai. Avrebbero potuto finire la lor esistenza sugli scogli o adottati da una famiglia di semplici pescatori invece erano diventati dei damerini della Vienna bene... ma forse mi sbagliavo... le radici ora pulsavano e si era attivata la chiamata ai luoghi originari. Sulla mensola sopra il letto, prima di addormentarmi, vidi diversi testi di Eraclito e non resistetti alla tentazione di sfogliarne qualcuno. C’erano delle belle edizioni...con aforismi sconosciuti: “Non è meglio per gli uomini che si realizzi quanto essi desiderino”, oppure, “Per i desti uno e comune è il Cosmo, ma nel sonno si volgono ciascuno al proprio mondo”.

Mi distesi sul letto e sentii tutta la tensione e lo stress di quei giorni piombarmi addosso come un macigno. Prima di addormentarmi ebbi un momento di scoramento e piansi. Poi in mezzo a un sogno giunse distintamente la voce di Sabine che in realtà era lì nel negozio di Frau Inghe, la sentivo discutere con Stefan, chiedere ripetutamente di me. E udii Stefan difendermi, coprirmi in tutti i modi.

-Non so cosa dirti, qui non si è visto - le aveva risposto con sempre maggiore fermezza.
Poi ancora silenzio, silenzio salvifico e riposante. Non so quanto durò quel tempo ma ad un certo punto venne Stefan e mi svegliò bruscamente.
-Gianni vieni, la mamma non c’è e temo che…
Si udirono delle urla di donna in lontananza, rumori sordi, anche di vetri rotti. Mi alzai di scatto e seguii Stefan che iniziò a correre davanti a me.
Giungemmo davanti a una piccola casa cubica circondata da un vasto terreno affollato di galline.
-È la casa di Dimitri - mi disse Stefan.

In quel momento ripresero i rumori all’interno della casa e si udirono nuove urla incomprensibili.
-Bose Hexe! Du hast mir mein Leben ruiniert! (Brutta strega! Mi hai rovinato la vita!).
-Ich habe dich nie geliebt! Willy hat mich geliebt. Du bist total verruckt! Es reicht jetzt mich mit deiner Eifersucht zu qualen! (Non ti amava! Willy amava me. Tu sei completamente pazza! Basta torturarmi con la tua gelosia!) (Forte rumore di oggetti frantumati all’interno della casa).

Entrammo all’interno di una piccola stanza modestamente arredata e trovammo il povero Dimitri semi sdraiato a terra con una vistosa ferita al volto e Frau Inghe e la baronessa avvinghiate una all’altra, impegnate in un corpo a corpo che non pareva essere destinato a risolversi a breve.
-Kleine griechische Hure! Hattest dich als Jung schon erhangen sollen... (Piccola puttana greca! Avrei dovuto strozzarti da giovane).
-Deine Gemeinheit ist so gross wie dein Machtgehabe! Geh zuruck in dein Schloss undbleib fur immer dort! Niemnd will dich hier... niemand! (La tua perfidia e pari solo alla tua brama di potere! Tornatene nel tuo castello e resta lì per sempre! Nessuno ti vuole qui. Nessuno!).
-Per l’amor di Dio, smettetela! Smettetela! - ripeteva Dimitri con voce affannata.
Feci per dividere le due donne ma Stefan mi prese per un braccio.
-Lascia che si sfoghino, era ora che succedesse! - mi disse con un filo di voce - pensiamo al povero Dimitri piuttosto.

Appena la baronessa ci vide piegati sul vecchio dolorante mollò la presa e si diresse verso di noi brandendo un lungo bastone di legno.
-Jetzt kommt er dran dieser Bastard! Verrater! Ein ganzes Leben voll Lugen! Aber ich wusste dass du der Wachter des Schatzes bist! Du! Du, Verdammter... (Lo sistemo io quel bastardo! Traditore! Tutta una vita di falsità. Ma io ho sempre saputo che eri tu il custode del tesoro...tu! Tu!… maledetto…).

Prima che riuscissimo a contrastarla la baronessa vibrò una bastonata in pieno volto al pover’uomo che emise un urlo soffocato e stramazzò al suolo. Cercammo di sollevarlo ma date le dimensioni del suo corpo obeso non riuscimmo subito nel nostro intento. Il suo volto era diventato irriconoscibile, gonfio e sanguinolento mentre con la mano l’uomo pareva voler indicare con insistenza un punto del pavimento... sbiascicando parole indecifrabili.

Stefan, nel frattempo, riuscì a disarmare la donna che di colpo cominciò ad afflosciarsi su se stessa e a perdere ogni vigore... rimanendo accasciata in ginocchio, in lacrime. Fu in quel mentre - Dimitri accudito da Stefan, la baronessa penitente e Frau Inghe nell’angolo della stanza in stato di choc - che notai sul pavimento una piastrella decorata con una scritta. Si leggeva in greco:

Παντα ρει (Tutto scorre)

Io quella scritta la conoscevo perché era di Eraclito e perché l’avevo trascritta sul mio diario a scuola, insomma, sì, la conoscevo bene. Mi gettai sul pavimento come posseduto da un ordine superiore e con l’ausilio di un punteruolo cominciai a grattare forsennatamente la calce che fissava la piastrella alle altre e dopo alcuni tentativi riuscii a staccarla e a rimuoverla. Con mia immensa sorpresa la piastrella nascondeva un pozzetto squadrato piuttosto profondo in fondo al quale trovai una vecchia scatola di legno. Era il tesoro! Sopraffatto dall’emozione mi voltai e scoprii di avere addosso gli occhi di tutti. Parevano statue le persone presenti nella stanza. La baronessa aveva anche smesso di singhiozzare. Quello che mi colpì di più furono però le finestre di casa che, spalancate, inquadravano in quell’istante una folla immobile e in silenzio: c’era tutto il paese. Vite intere spese nell’attesa di quel momento. Tutti attendevano l’apertura di quella scatola ed io, con mano tremante, lo feci.

Era vuota.

-Non può essere! Non è quella giusta! - udii una voce disperata che riconobbi essere quella di Theo.
-Pensavamo di fottere tutti e siamo rimasti fottuti - esclamò un’altra voce ma questa volta con forte accento napoletano.

Incrociai l’espressione interrogativa dello sguardo di Frau Inghe. E provai di colpo una gran pena per la baronessa accovacciata e tremante ai miei piedi: le appoggiai una mano sulla spalla cercando di confortarla. Dietro di me Sabine fece lo stesso gesto con me. Era finita. Era tutto finito, non sapevo dire se un sogno o un incubo.

Rimanevano dei misteri, certo, ma come diceva Eraclito:

L’armonia nascosta vale più di quella che appare.

Ed io non avevo nessuna intenzione di cercare oltre.

Con lo stesso caicco che mi aveva portato a Fourni quella sera lasciai l’isola. Era già settembre, il cielo imbruniva prima. Rimasi a lungo a guardare la sagoma blu della montagna e la linea chiara delle case farsi lontana. Stefan aveva deciso di accompagnarmi fino ad Atene, io da lì sarei tornato in Italia, lui avrebbe proseguito il suo viaggio verso la Germania.

-Posso farti una domanda? Mi disse ad un certo punto interrompendo il mio stato contemplativo.
-Certamente!
-Ma tu che hai sempre saputo dove si trovava il tesoro perché non ti sei mosso subito? Perchè hai atteso l’ultimo momento? - mi chiese tutto serio.
-Io non sapevo nulla... io… non…
-Incredibile! Insisti nel voler mantenere questa tua riservatezza estrema, avrai i tuoi motivi. Non voglio annoiarti… solo che proprio non ti capisco…
-Chi sicuramente sapeva era Dimitri. Mia madre una volta mi disse che Dimitri offrì un oggetto di inestimabile valore a Willy affinché la portasse in salvo via dall’isola. Poi successe qualcosa, la guarnigione tedesca di stanza a Fourni subì un attacco e tutti i soldati furono evacuati in una notte. Per questo il tesoro venne consegnato al maresciallo Rossi e insieme a Dimitri decisero di nasconderlo in una casa. E li rimase fino a quando…
-Fino a quando?
Fu a quel punto che Stefan tirò fuori dalla tasca una vecchia busta ingiallita e la aprì davanti a me. Dentro c’era una lettera e insieme a questa una piccola ampolla di vetro con un frammento di qualcosa, presumibilmente cuoio ma l’oscurità non mi permetteva di vederla bene…
-Sono i resti della suola di uno dei sandali indossati da Eraclito durante un suo soggiorno a Fourni.
-Non ci credo!
-Conservati e tramandati per millenni.
Stefan lesse il contenuto della lettera:

Auf diesen Sohlen ging der erhabene Lehrer Heraklit. (Reliquia di calzatura del sommo maestro Eraclito)

(Wilhem Von Hutterbrot)

Ridemmo.
-Stefan ! Ma come mai hai tu questo tesoro?
-Da questo momento è tuo, mio caro amico.
-Quindi fosti tu a trovarlo per primo?
-Ssstt! Come tu mi insegni... non si può sapere sempre tutto. Hai visto che bella l’isola illuminata nella notte?