Fabrizio Galassi è un giornalista, docente e consulente di digital marketing. Ogni giorno sui suoi canali social e sul suo sito condivide notizie, consigli, riflessioni su quello che è la musica oggi. Piccoli manuali d’uso per i musicisti e addetti ai lavori, ma anche per chi ama scoprire nuovi artisti e vuole comprendere meglio il mercato discografico.

Come scopriamo musica nuova? Quali sono i canali che ci permettono di entrare in contatto con le nuove derive musicali? Anni fa, il compito di scoprire nuovi talenti e portarli alle orecchie del pubblico era affidato a deejay, produttori, etichette discografiche e talent scout. Con l'avvento di Internet e dei social, tutto è cambiato; le distanze tra l'artista e il pubblico sono state abbattute, e il musicista è diventato allo stesso tempo manager e promoter di se stesso.

Al primo posto c’è il passaparola, il consiglio dell’amico. È il momento in cui è più facile diventare fan di quell’artista o di quel genere. I social occupano il secondo posto, ma sempre sul concetto di passaparola, questa volta digitale: la condivisione è uno delle azioni più importanti che può fare un ascoltatore.

Poi ci sono le playlist e i consigli dell’algoritmo dei vari Spotify o di YouTube. I produttori, talent scout e deejay erano dei filtri, come lo erano le riviste di musica. In redazione, quando lavoravo a Rockstar ricevevamo centinaia di CD o vinili, facevamo la nostra scelta, decidevamo quali recensire e quali no; e quello era un filtro vero e proprio. A seconda della nostra valutazione, i lettori andavano (o non andavano) a comprare il disco. Anche la radio aveva quella funzione.

Oltre a pensare alla musica, i musicisti di oggi devono acquisire competenze che comprendono anche la capacità di saper comunicare, promuovere e vendere.

Io chiamo questo momento “La Dittatura dell’Utente”; oggi l’ascoltatore non ha più bisogno di leggere la mia recensione o aspettare che la radio trasmetta quel determinato artista. Se lo va ad ascoltare direttamente e fa le sue scelte. Questo ha tolto molti intermediari di mezzo, alcuni di questi erano il classico gatto e la volpe, ma molti erano e sono tutt’ora produttori o A&R che possono realmente aiutarti nel far arrivare meglio la tua musica. Gli artisti che pubblicano dischi sono aumentati a dismisura; ogni giorno, solo su Spotify, vengono caricati 60.000 nuovi brani, tutti i giorni! Questo obbliga gli artisti ad aggregare varie professionalità perché diventa difficile trovare etichette o manager che possano puntare su di te. Adesso, in molti casi, devi dimostrare di valere prima di meritarti un contratto: quanti concerti riesci a fare, quanto merchandising vendi, quanto sei popolare sui social e che numeri hai sulle piattaforme di streaming. Quindi devi avere competenze manageriali, promozionali, grafiche, di public relation e ufficio stampa; ma se la tua musica non piace puoi fare poco.

Cos'è il digital marketing e perché è così importante? Quali sono i principi di base?

C’è da specificare che il digital marketing in ambito artistico e musicale è abbastanza differente da quello di prodotto, come può essere una lavatrice. Nel primo caso si vende un’emozione o un sentimento, a seconda della profondità del brano o del messaggio dell’artista; e poi si vende se stessi, che è la cosa più difficile: essere sinceri e reali, anche se indosso una maschera o se interpreto un personaggio.

Un musicista che conosce bene il digital marketing può fare a meno di un'etichetta discografica o di un ufficio stampa?

Lavorare da soli è sicuramente più gratificante e hai un controllo maggiore, ma è anche più stancante, perché hai necessariamente bisogno del tempo per farti ispirare e comporre la migliore musica possibile. Un’etichetta ti può dare quella spinta in più per farti passare a uno status artistico superiore, così come un ufficio stampa può darti più occasioni per far arrivare la tua musica a un pubblico più ampio. Ma prima di firmare l’agognato contratto discografico valutate se le condizioni sono eque e non abbiate paura a modificare il contenuto; mentre per l’ufficio stampa, consiglio di utilizzarlo quando avete qualcosa di notiziabile, meglio ancora se in collaborazione con l’etichetta.

Un musicista di talento con buone canzoni può considerare l'opzione di evitare i canali social, le playlist, eccetera? È ancora possibile costruire una base di fan suonando in giro? Ha ancora senso produrre dischi fisici?

Ci siamo dimenticati che l’artista ha il compito di cambiare il mondo, distruggere le regole, cambiare il gioco. Non avere la musica sui social o non patire l’ansia da playlist potrebbe essere un nuovo modo di concepire l’arte, un modo esclusivo, quasi unico; è rischioso ma qualcuno dovrà pur iniziare a farlo. Suonare dal vivo diventa sempre più difficile perché il pubblico generalista non è più abituato ad accettare di ascoltare un nuovo artista, a scatola chiusa. I piccoli live club chiudono mentre i mega eventi dei big vendono il 600% di biglietti in più rispetto agli anni passati. Forse i Talent Show dovrebbero farsi un esamino di coscienza.

A volte si ha la sensazione che si venda il brand e non la musica. Il pubblico si affeziona alla persona, al brand, allo stile e segue un artista indipendentemente dalla qualità delle canzoni. È la critica che viene mossa a molti artisti che hanno una grande capacità di comunicare attraverso i social. Ma mi chiedo: non è sempre stato così? La differenza non sta nel fatto che prima spettava ai giornali creare "il mito" mentre adesso gli artisti hanno la possibilità di comunicare direttamente con il proprio pubblico?

Certo che è sempre stato così. I talent scout degli anni ’70 giravano in città in cerca della fila più lunga davanti a un club, entravano e guardavano il tipo di pubblico, poi arrivava la band e i talent scout osservavano come erano vestiti e il tipo di rapporto tra loro e il pubblico. Poi accendevano le orecchie e ascoltavano che musica facevano. Se i pianeti erano allineati scattava il contratto. Ci sono artisti che comunicano malissimo, ma fanno una musica stupenda, e quel ‘malissimo’ diventa stile, quasi mito. Poi, se riesci a far parlare di te e scatenare un dibattito ancora meglio. Più heater hai più sei celebre.

Le radio FM hanno ancora un ruolo importante nella diffusione della musica? È possibile che un musicista indipendente riesca ad arrivare da solo alle grandi radio?

Diciamo che le radio si sottovalutano un pochino. Quelle mainstream hanno un pubblico fidelizzato dagli speaker o dagli show, non certo dalla musica; il 90% del pubblico radiofonico la ascolta per compagnia, principalmente in macchina, ed è a quel pubblico che la radio vende la pubblicità, non la musica. Quindi i brani che programmano accondiscendono questo comportamento, perché sicuramente porta più profitto. Ma è anche vero che non per forza le big radio devono sottostare alla Top40; ci sono emittenti grosse che hanno lanciato la versione indie. E poi se RTL mette in heavy rotation Calcutta, non vedo perché non dovrebbe farlo per Motta, o per Giovanni Truppi. Per questo dico che si sottovalutano seguendo eccessivamente il consenso.

Spotify è stato concepito come alternativa alla pirateria, con il principio della musica gratuita per tutti. Solo dopo anni di trattative si è giunto a un accordo con le case discografiche per tutelare i diritti dei musicisti. Alcune grandi case discografiche sono però azioniste di Spotify, questo non è in contrasto con quello che dovrebbe essere il loro compito, cioè tutelare i diritti dei loro artisti?

Spotify è nata grazie al catalogo delle major (Universal, Sony, Warner), che appunto sono anche azioniste della piattaforma, hanno quindi una corsia preferenziale. Loro tutelano i propri azionisti prima dei loro artisti, quindi tendono a incassare il più possibile. Con le royalties hanno in parte tappato il buco nero creato fine delle vendite discografiche, ma devono continuamente pubblicare artisti e brani che macinino milioni di plays. Ad esempio: la trap o la urban sono praticamente in mano delle major, credo siano rimasti uno/due artisti indipendenti, uno di questi è Nayt, forse il più interessante di tutti.

Hai diffuso sui tuoi canali la notizia secondo la quale i brani con meno di 1000 streaming all'anno non genereranno guadagni, ma i compensi saranno distribuiti agli artisti più grandi. Uno scenario che penalizza migliaia di musicisti che non hanno un grosso potere di distribuzione. Un ritiro massivo dei brani da parte dei piccoli musicisti potrebbe in qualche modo scalfire un gigante come Spotify?

Potrebbe essere: su Spotify, un quarto degli artisti che generano più di 10.000 dollari l’anno in royalties sono indipendenti. Stiamo parlando di quasi 15.000 musicisti che in 5 anni sono aumentati del 200%. Però il 95% degli ascolti è realizzato da ‘solo’ 200.000 artisti, molti dei quali sono sotto major. Ora. Non credo che ritirare la musica da Spotify possa essere utile alla causa, sicuramente spostare l’attenzione su altre piattaforme più eque potrebbe essere interessante.

I CD non si vendono più, lo streaming paga poco, l'unico modo che hanno i musicisti per guadagnare è andare in tour, e quindi i prezzi dei biglietti dei concerti sono sempre più alti. Cosa ne pensi di Patreon? Può essere un nuovo modo per consentire ai musicisti di finanziarsi grazie ai propri fan e uscire da questo meccanismo?

Il problema non è il mezzo, ma la società nella quale quel mezzo è utilizzato. In Francia o negli Stati Uniti il crowdfunding o il mecenatismo/patreon è una normalissima forma di auto sostentamento; in Italia questi mezzi vengono visti come elemosina, il pensiero tipico è: “Se non hai i soldi per fare il disco vuol dire che non puoi fare il disco”. Poi ci sono stati casi pazzeschi, come i Gang che hanno racimolato una cosa come 73.000 Euro, ma è un caso super isolato. Ma attenzione, se hai il disco e fai i concerti, il pubblico te lo compra. Quindi se hai una buona linea di merchandising potresti anche riuscire a ri-finanziarti.

Qual è il consiglio migliore che ti senti di dare a un musicista?

La vocazione. Senza vocazione si va da poche parti. Ma la vocazione ha molte voci e molti talenti; esplora tutte le possibilità che ti offre il mercato, magari inizi come cantautore, ma poi ti trovi meglio a comporre per altri (autore), o a scrivere per film/cortometraggi/pubblicità (sound designer), ad arrangiare (produttore) o a intrattenere relazioni (manager). Segui il tuo talento, non seguire il consenso.