Parallelamente a una vita dedicata alla scienza e alla ricerca, attività che hanno reso famoso il nome del Malacarne tra gli illustri della chirurgia internazionale, lo storico Carlo Fedele Savio ci racconta della sua passione per la cultura classica e della sua vasta produzione di opere erudite, ahimè completamente inattendibili: il chirurgo era solito citare documenti o manoscritti, a sostegno delle sue ricerche, assolutamente inesistenti ma che lui in persona avrebbe consultato e ricopiato con fedeltà in luoghi o in archivi privati dei quali però aveva perso memoria con il tempo. Come non dare credito a un uomo di così chiara fama? Fu così che molte delle sue fantasiose divagazioni finirono nel tempo citate addirittura in importanti opere di autori successivi.

Per rimanere sulla storia locale piemontese merita una menzione particolare il Calamitas Calamitatum in cui un inesistente chierico Giacomo De Fia ci racconta a suo modo l’assedio di Saluzzo del 1341 sbagliando tutte le date e facendo già esistere quella Porta Vacca che sarà costruita solo un quarto di secolo dopo. Altro falso è l’Obsidione de Saluthio delanno 1486 (sic!) nella quale compare l’episodio (falso naturalmente) in cui Vincenzo Della Chiesa esce da Saluzzo in tempo d’assedio attraverso un passaggio segreto e si reca rocambolescamente con altri uomini al castello della vicina Verzuolo per recuperare viveri per i cittadini.

Entrambi i manoscritti il Malacarne assicura di aver ricopiato fedelmente perché presenti tra le carte di Filippo Antonio Garetti, già segretario della città (e suo zio!) e vengono presi per buoni da Delfino Muletti nelle sue Memorie Storico-Diplomatiche appartenenti alla città ed ai marchesi di Saluzzo (1830). Trattandosi a questo punto di letteratura a tutti gli effetti e non di storia, verrebbe quasi da pensare al Malacarne come a un anticipatore del noto espediente che fa da cornice alla storia in alcuni grandi romanzi romantici europei, primo fra tutti quello manzoniano: il ritrovamento del manoscritto.

A proposito del De Fia il Savio sottolinea quanto fosse necessario (si era nel 1941) rimuovere dalle lapidi che in municipio ricordano i personaggi illustri di Saluzzo l’apocrifo chierico: non ho avuto modo di verificare se sia stato fatto o, data la stranezza del caso, se vi sia una targa che ne espliciti l’inesistenza. Talvolta il falso può essere decisamente più attrattivo e intrigante del vero, come ci hanno insegnato i capolavori di Borges o molti degli scritti di Umberto Eco.

Il Malacarne fu anche abile nell’inventare titoli di libri mai esistiti e stampati a Saluzzo come il Del principio e fondazione delle regole di San Domenico, indirizzato al marchese Lodovico di Saluzzo, e stampato tradotto in italiano in essa città in ottavo nel 1500, per li nobili fratelli Guiliermi di Rohan citato come vero dall’illustre storico piemontese Gian Francesco Galeani Napione.

Di recente ho rintracciato in una nota di Domenico Chiattone presente in un suo saggio dedicato ai podestà di Saluzzo, un simpatico sfogo proprio riferito al Malacarne: dopo aver citato un testo del chirurgo a sostegno di una cronologia Chiattone, ben consapevole del vizio del Malacarne, si lascia andare con il commento “Dio volesse che anche qui non ci fossero falsificazioni!”, anticipando di quasi quarant’anni la definitiva bollatura del saluzzese come falsario presente in una nota di Delio Cantimori nel suo ormai classico Eretici italiani del Cinquecento (1939).

Ma veniamo a un falso di portata nazionale: si tratta del ritrovamento di una presunta lettera che Torquato Tasso avrebbe scritto al benese Giovanni Botero direttamente dalla prigionia nel Sant’Anna di Ferrara; tale missiva mise in sospetto Melchiorre Cesarotti (che di falsi se ne intendeva) ma fu accolta come originale e veridica da Ippolito Pindemonte.

In essa il povero Tasso chiederebbe al Botero di intercedere per lui presso Carlo Emanuele duca di Savoia ricordandogli che il giardino del palazzo incantato di Armida descritto nelle ottave della Gerusalemme Liberata non è altro che il parco vecchio voluto in Torino dal duca stesso e che la sua descrizione è stata inserita proprio in suo onore e per la di lui memoria.

Qui il gioco si fa pericoloso e decisamente eccessivo ma evidentemente il gusto della falsificazione, rischiosissima in ambito culturale e tanto più se chi la persegue è uno scienziato, si era impadronito definitivamente del Malacarne tanto da tirare in ballo in un altro suo scritto il navigatore vicentino Filippo Pigafetta, e darne notizia inedita di alcuni suoi viaggi nel Mar Rosso.

È molto curioso pensare che l’abile uomo di scienza (anche se qualche dubbio sulle sue prove ‘sperimentali’ a questo punto dovrebbe sorgere) abbia considerato la storia una materia malleabile, assimilabile alla letteratura e pertanto soggetta all’invenzione. Avrà voluto elevare la sua Saluzzo a sede di eventi illustri mai avvenuti così da farla brillare maggiormente? O forse non si accontentò della fama derivata dagli scritti anatomici e volle accrescerla dimostrando la sua poliedricità in altri settori? Poliedricità già peraltro testata: non si dimentichi che il suo poemetto in tre libri Idrofobia venne addirittura citato da Girolamo Tiraboschi nella sua Storia della letteratura italiana (1807).

Nel corso dei secoli i manoscritti autoprodotti (senza scomodare la Donazione di Costantino, il collaborazionista e antisemita Pierre Plantard ad esempio inseriva fisicamente pagine di pergamena nei libri della Bibliothèque Nationale de France atte a giustificare la sua discendenza dalla dinastia Merovingia) o i libri inventati e presi per buoni sono stati molti e alcuni (si pensi all’autobiografia Sopravvivere coi lupi di Misha Defonseca, al Libro di Mormon disseppellito da Joseph Smith e venerato dai fedeli della Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni o ai Protocolli dei savi anziani di Sion) sono stati così letti e commentati che si fa fatica a considerarli falsi.

Personalmente voglio pensare al Malacarne come un abile burlone, soprattutto quello dei primi falsi; un giocherellone che ha voluto gabbarsi di tanti eruditi e di tanta tronfia saccenteria facendo riflettere il mondo degli studi e della ricerca sul ruolo delle fonti e sulla possibilità che una fetta della nostra storia passata possa essere un falso. Per qualche decennio è riuscito nel suo intento.

Fine seconda parte