La scrittura è un fenomeno sociale che racconta un popolo.

Cicerone parla nei suoi scritti di alcuni graffiti presenti a Roma e Plinio, in una lettera ad un suo amico, scrive che nel tempio ci sono le scritte sui muri ad opera dei visitatori.

A Pompei sono visibili tanti graffiti e queste sono testimonianze scritte che vanno oltre i confini della scrittura “ufficiale” ovvero quella dei notai (dell’atto giuridico) e della tradizione libraria (della poesia e della prosa).

Quando si legge un libro quello che si trova è qualcosa di “ufficiale” e rivolto a classi sociali precise, quando si legge un graffito, invece, questo è alla portata di tutti e si rivolge a tutti.

Chiunque sappia scrivere può scrivere e lo fa anche sui muri. Colui che scrive sul muro è, dunque, un uomo libero di scrivere quello che ha interesse a scrivere.

Per merito della scrittura su parete (fortunatamente intrappolata a Pompei dopo la tragedia dell’eruzione del Vesuvio) non compare solo la voce dei ricchi e dei potenti ma anche delle classi sociali piu basse come si vedrà a breve.

La scrittura che si osserverà nelle immagini che seguono è a sgraffio ovvero: la superfice (il muro) viene graffiata con un oggetto duro che incide la parete.

Un uomo scrive parafrasando su un muro pompeiano: «ti ammiro parete che non crolli per le cose noiose che stanno scritte su questa parete» e un docente incide: «Qui mihi docendi dederit mercedem abeat quod petit superis».

Colui che scrive, in questo caso, è un maestro che chiede un compenso per la sua prestazione intellettuale. Si nota, però, che “abeat” è scritta senza h.

Dunque, come mai un “detentore della conoscenza” non sa scrivere?

Si può affermare che il graffito, oltre a raccontare la società dei più, consegna allo studioso contemporaneo una testimonianza della lingua parlata.

I graffiti, infatti, non fanno nient’altro che raccontare come “parlavano” i romani e dunque la società nella quale vivevano.

Nell’immagine n. 3 si osserva la parodia dell’incipit delle Eneide.

L’ironica frase si presenta: “io canto i lavandai e la civetta non gli eroi”. Si osserva, a questo punto, che la scrittura è un sistema complesso, difficile da comprendere, profonda ed oscura con molteplici elementi e aspetti. Presenta tante manifestazioni e nessuna di queste è mai fuori contesto.

Nella Bottega di Successus in via dell’Abbondanza a Pompei si legge su un muro:

nihil durare potest tempore perpetuo; cum bene sol nituit redditur oceano; decrescit phoebe quae modo plena fuit; venerum feritas saepe fit aura levis; amoris ignes sentires mulio; magi properares ut videres venerem; diligo iuvenem (puerum) venustum rogo punge iamus; bibisti iamus prende lora et exqute; pompeios defer ubi dulcis est amor; meus…

Il senso è riassumibile nella frase: nulla può durare nel tempo paradossale se si pensa alla storia di Pompei e di come le sue rovine donino ad oggi uno spaccato di vita su Roma.

Un altro esempio di scrittura a sgraffio presente a Pompei è il computo dei risultati di due gladiatori ovvero Marco Attilio contro Hilarus.

Lo scontro ha per vincitore Hilarius che vince 14 combattimenti. Insomma, come se fossimo allo stadio e leggessimo una qualsiasi frase impressa sugli spalti.

La scrittura sul muro a Roma, dunque, è quella della vita quotidiana, non è quella dei copisti o dei notai. Questa scrittura consegna elementi di un sistema grafico che va conosciuto ed indagato e aiuta, soprattutto, a comprendere la storia sociale di un popolo.

In sintesi, ogni epoca ha un proprio sistema grafico e ogni sistema grafico un’epoca.

Alla fine di questa breve e riassuntiva storia sui graffiti a Pompei, al lettore si pone una domanda: è giusto condannare coloro che ad oggi secondo alcuni “imbrattano” i muri dell’odierna urbe? Se si scrive «ti amo» con una bomboletta o si dedica una frase a qualcuno non è più giusto affermare che si sta raccontando la società nella quale si vive agli uomini del futuro? Dunque, il graffito contemporaneo non potrebbe diventare anch’esso storia?

Un fatto è ormai chiaro, la scrittura sui muri e i graffiti ci sono sempre stati, la tradizione continua, poi, nel medioevo con le storie dei pellegrini incise sui muri delle chiese e successivamente decade nell’età moderna nel momento in cui subentra la critica a queste manifestazioni.

Concludendo, si rietine che riflettere su quello che la storia ci ha consegnato è risorsa per l’oggi al fine di non irrigidire i modi di pensare, non sentenziare ma analizzare prima di condannare.