Che qualcosa sia successo negli ultimi anni non credo debba essere enunciato ed ancor meno spiegato. Che lo stesso abbia pesantemente modificato la nostra vita è, invece, spesso negato. Come fossimo stati in una sorta di strana vacanza forzata, che prima o dopo sarebbe terminata e che a questo punto saremmo “tutti” tornati alla vita precedente, rimasta ovviamente immutata, magari raccontandoci di quanto ci era successo, quasi fossimo al ritorno da una lunga vacanza.

Qui ed ora non ci interessano le cause (sulle quali abbiamo già sentito di tutto, anche troppo, e forse il meglio deve ancora venire...) ed i rimedi (presunti o reali, corretti o sbagliati che siano), il nostro interesse è rivolto al fatto che molte modalità del nostro “vivere” precedente non torneranno mai più, solo uno stolto -magari col sorriso del caso- può aspettare (all’infinito?) il loro ritorno.

Certo, alcuni drappi esposti alle finestre inneggiavano in direzione opposta ma è innegabile il trattarsi di illusioni, del voler coltivare la speranza oltre ogni logica: non è andato tutto bene! E in questa sede non ci interessa processare chi avrebbe potuto e dovuto (se non altro per il ruolo rivestito) fare diversamente... Questo atteggiamento “attendista” può -forse deve- essere accettato nei bambini -la cui ingenuità deve essere preservata a priori (e forse ci insegna molto) e -purtroppo- in tutti coloro cui non resta che la sola speranza (forse perché la nostra società punta a dare solo quel di più che serve a comprare -con soldi o altro- qualcosa da ostentare per sopravvivere).

Negli altri casi (cioè quelli che vive la maggior parte di noi) non possiamo nasconderci dietro ad un dito: molto, se non tutto, è cambiato, soprattutto nei modi. Si tratta di un processo che era già in atto, accelerato ed affatto terminato, ed anzi di questo non si prevedono né gli esiti né la durata. Chi studia questi fenomeni lo conferma e riferisce che in realtà nulla è davvero così nuovo, specie dal punto di vista generale, dato che in senso stretto la creazione spetta solo a Dio -per chi crede- mentre noi “terrestri” al massimo possiamo ricombinare le cose, meglio: trasformarle!

Nel piccolo, nello specifico che qui ci interessa, gli stessi studiosi ci fanno sapere che quanto avvenuto ha solo accelerato il processo che già era in atto. In altre parole è solamente successo quello che era previsto avvenisse alcuni anni dopo. Irreversibile? Sì, ineluttabile e solamente arrivato un poco prima del previsto. Non possiamo nemmeno tentare una sistematizzazione della cosa, è troppo presto per fare una tassonomia, ma alcune semplici osservazioni dovrebbero minare le certezze che avevamo fino a qualche anno fa, anche ai più testardi.

Non possiamo trattare tutto, limitandoci al tema del nostro intorno, abbiamo notato quanti edifici destinati ad uffici, grandi e piccoli, siano vuoti, in vendita ma forse in realtà in attesa di essere riconvertiti? L’ha fatto capire la pandemia: facendo buon viso a cattiva sorte moltissimi di noi si sono adattati -volenti o nolenti- al dover lavorare a casa -spesso basta un telefonino, nemmeno troppo evoluto, in altri casi un personal computer, anche in questo caso non troppo potente e nemmeno recente. Quello che sempre serve davvero è un atteggiamento diverso, questo però non è in vendita...

Ad “ostacolo” rimosso dobbiamo/possiamo (finalmente?) tornare in ufficio o possiamo continuare a lavorare nello stesso modo di prima, da casa, la nostra, affatto cambiata? Pensiamoci, escludendo dal ragionamento le forme di lavoro che sono legate ad un luogo specifico (che peraltro sono numericamente meno di quelle che sembra), perché centinaia o migliaia di persone si devono recare in ufficio per stare ciascuna al proprio personal computer (che potrebbe essere ovunque...), senza interazioni fisiche con i colleghi se non nelle pause?

In altri termini, se detta operazione può essere effettuata da casa (o da qualsiasi altro luogo del mondo alla sola condizione di essere connesso ad internet), senza sprecare tempo, soldi ed energia per recarsi in ufficio e tornare da questo, dando pure fastidio agli altri… perché farlo (o perché non farlo)? Non ci interessa di certo l’aspetto romantico dell’andare in azienda per stare con altre persone, oltretutto non scelte reciprocamente dai diretti interessati, che anzi spesso sono autentici nemici ed il cui comportamento è spesso caratterizzato da una competitività tanto spinta che non la vediamo a questi livelli nemmeno alle olimpiadi…

Di sicuro molti di noi sono stati colpiti dall’uso “direzionale” (cioè ad ufficio) cui hanno dovuto adattare parte delle proprie abitazioni, che ritenevamo solo “residenziali” (quindi il contrario del produttivo, al massimo relegato al fai-da-te di stampo hobbystico) e pure la convivenza, forzata, con i nostri cari ha messo a dura prova noi tutti. Guardiamo quindi le nostre abitazioni, osserviamo le loro mutazioni recenti, comprese quelle avvenute prima della pandemia ma soprattutto quello che noi facciamo in casa da un paio d’anni.

L’aspetto -ad esempio- è cambiato? Continuiamo ad avere da una parte chi spinge verso un’immagine tradizionale, apparentemente legata ad un tempo immutabile, fatto di caminetti e cancelli in ferro battuto (come se questa fosse la classicità senza tempo), e dall’altra chi vuole la propria casa con un’immagine contemporanea se non futuribile, in questo caso -ad esempio- con l’uso di metallo e vetro ma anche del verde in modo non convenzionale, ad esempio in verticale (anche se molto di questo “moderno” è in realtà di maniera). Colpa (o merito) della pandemia? No!

Ritorniamo a guardare le (nostre) case in modo sufficientemente approfondito, ad di là della superficie (meglio: sotto) le differenze ci sono (dove non ce l’aspettiamo) e non ci sono (dove sembrerebbero scontate), sono profonde e sembrano ridottissime. Che ne è stato, infatti, dei nostri spazi? Cosa facciamo “spontaneamente” in casa? Alcuni esempi sono sufficienti ad illustrare, concretamente, quello che si intende dire.

Iniziamo dall’intorno: il valore (sia quello economico che quello d’uso) della posizione è sconvolto dalla connessione: la centralità è importante ma non riguarda quasi più la dotazione di servizi in genere e meglio se esclusivi. La vera e nuova periferia è costituita dalle aree non-connesse, questo relega all’esterno della società civile chi ne è colpito e non è misurabile con la distanza dal centro città ma semmai da un hotspot! Per i servizi zonali la cosa non è così diversa, potendo comodamente ricevere ogni servizio o prodotto, freddo o caldo, indipendentemente dalla nostra ubicazione: il concetto è superato o relegato a chi vuole -o deve- recarsi a piedi in qualche punto dove ricevere qualcosa: azione a scadenza, con i mesi contati.

Passando all’interno, ci siamo accorti di quanto è entrato (o lo sta facendo) -in modo assai subdolo- nelle nostre case e del suo effetto? Non solo comfort, dato che ormai sono due secoli che aumenta la comodità delle nostre abitazioni e si riduce l’esigenza/desiderio di cercare altrove quanto abbiamo all’interno delle mura domestiche. Meglio: è il comfort, ma declinato secondo nuove modalità e, lo sappiamo da molto, questo punta ad isolarci! Vogliamo fare qualche esempio?

Esageriamo solo un poco ma lo sport si vede meglio dal divano che allo stadio, la musica ed il cinema sono godibili ad un livello tale da non giustificare la trasferta verso teatri e multisala.
Un bel giro in bicicletta, magari in qualche bella località o percorso, non è una occasione per trascorrere del buon tempo? No, non lo è, molto meglio -lo scrivo con ironia- adibire una zona della casa allo scopo. Per questa contemporanea vita all’aria aperta è ovviamente consigliato il piano interrato, meglio se privo di finestre (che distraggono, ma possono essere oscurate!), qui portare un personal computer (in cui installare qualche applicazione specifica), un buon monitor (meglio se grande, per fingere di guardare la strada) e (per migliorare il realismo) montare la nostra bici da corsa sui rulli, che non si dica che utilizziamo un surrogato: la dura sella è insostituibile!

Possiamo gareggiare contro la macchina ma anche con gli amici, quelli storici ma anche facciamocene di nuovi: non correndo all’aperto ma collegandosi allo stesso programma, sempre senza muoversi (se non virtualmente) da casa! I vantaggi non mancano: non piove, non ci investono, nessuno ci rapina soldi, cellulare e costosissima bici, non ci sporchiamo, non dobbiamo rientrare, in caso di bisogno possiamo smettere immediatamente e così via! E poi -diciamolo- non avreste voluto partecipare al Giro d’Italia o a quello di Francia? Nella realtà non è possibile, così sì!

Anche terrazzi e giardini privati (non estesi come parchi ma aree piuttosto limitate) sono stati rivalutati, perché sfogo della casa -ovvio- ma anche per il loro essere un surrogato. E, infatti, si popolano di tapis roulant (la passeggiata si fa qui!) ma si può anche coltivare! E’ l’orto idroponico, non certo tradizionale, in cui -rigorosamente in ambienti confinati (spesso si tratta solo di bocce autosufficienti)- facciamo crescere, ad esempio, il lattughino. Non serve il pollice verde o altre amenità, l’apparecchiatura pensa a tutto, luce e acqua in primis, tanto che la nostra verdura potrebbe svilupparsi anche dentro un armadio chiuso! Del resto non rimpiangeremmo comunque i sapori di una volta, ormai introvabili? Allora tanto vale che la verdura non sappia di nulla, anzi se cresce in acqua non dobbiamo lavarla, e così facendo siamo certi di poterci lamentare, perché lo sport nazionale non è più il calcio ma questo!

E dentro casa? I grandi produttori -in realtà distributori- hanno subito messo in commercio mobili per lavorare e/o studiare in camera o in soggiorno, niente di più che piccole scrivanie posizionabili in spazi ridotti. Nessuna innovazione, perfetta risposta a quello smartworking che in realtà è telelavoro (perché non c’è alcuna forma di intelligenza...), privo completamente (salvo le solite rarissime eccezioni) di ogni forma evoluta di azione, proprio come se dovesse trattarsi di una soluzione provvisoria, peccato debba durare se non per sempre quanto meno più di molti di noi!

Che ne sarà perciò delle tendenze che ritenevamo essere di valore, perché nuove, funzionali, belle, durevoli e quindi desiderabili (da noi ma soprattutto da coloro cui le mostravamo per farci invidiare)? Parlare di ridimensionamento è il minimo! Chi desidera spazi aperti -quali i loft- dovrà ripensarci, dato che dobbiamo convivere (non solo durante i pasti!) con altre persone che producono -esattamente come noi, contemporaneamente a noi e molto vicino a noi- rumori inaccettabili da chi lavora (o “solo” pensa, legge e così via), e deve essere concentrato o deve comunicare con altre persone senza rumori di fondo, quelli che le nostre adorate attrezzature riescono ad amplificare così bene…

Analogamente, che ce ne facciamo di impianti centralizzati -pensiamo a quelli audio!- se ognuno di noi ha esigenze diverse, nello spazio e nel tempo? Della sanità vogliamo parlare? Sempre di più faremo controlli del funzionamento del nostro corpo (sottoposto a nuovi sforzi) ed altre operazioni in casa, senza recarci in ospedale o cliniche private (ma la nostra casa è ancora più privata di queste...), siamo pronti?

Avvicinandosi alla conclusione, come non far notare che, in presenza di così tanti cambiamenti, necessitiamo di qualcosa di specifico ed utile, declinato sui nuovi bisogni? In realtà dovremmo già essere proiettati su quello che non c’è ma viste le premesse dobbiamo rinunciare… Non abbiamo, infatti, notizie di progetti evoluti -e diffusi- per l’utilizzo degli spazi presenti nelle nostre abitazioni in modo nuovo, eppure si tratta di uno stimolo progettuale fortissimo e di un mercato enorme, ed il tempo già trascorso non è poco.

Da una parte ci sono i professionisti, che continuano, come niente fosse, a progettare gli stessi arredi di quasi vent’anni fa (lo dice il proverbio: squadra che vince non si cambia, perché funziona e perché niente è successo…), dall’altra i produttori si limitano a proporre livree diverse per gli stessi oggetti stantii (come se il problema riguardasse la pelle, cioè l’aspetto esteriore dei soliti mobili, diventati così nuovi ed appetibili per acquirenti stanchi del solito colore ma impreparati (leggasi: spaventati) nel rapportarsi a qualsiasi novità (specie de dovesse riguardare la propria casa, cioè il rifugio per eccellenza).

Il tema della “convivenza forzata” -fuor di retorica- ci costringe però, se non abbiamo la fortuna di possedere abitazioni molto generose, a ripensare gli spazi secondo le nuove funzionalità ed a seguire nuove estetiche: chi di noi possiede una carrozza dell’ottocento cui ha sostituito i cavalli con un motore, poco importa se a vapore, endotermico o elettrico?

In attesa di capirci di più, e magari prima che diventi storia, potremmo cambiare alcune convinzioni e convenzioni, propongo perciò di iniziare modificando la misurazione del tempo, compreso il significato delle relative sigle, da prima e/o dopo Cristo (a.C. / d.C.) a prima e/o dopo il Covid (a.C. / d.C.)! Non è molto ma potrebbe segnare l’inizio di quella nuova consapevolezza di cui c’è davvero tanto bisogno!