Ogni buon lettore, allorché si trova alle prese con una narrazione allegorica di qualsiasi tipo, sa perfettamente di avere due possibilità: arrestarsi davanti al senso letterale, oppure oltrepassare questa prima soglia tentando di decifrarne l'artificio retorico. Va da sé che nessun lettore dotato dei giusti codici, ossia di un accesso a quella rete di corrispondenze convenzionali che di fatto rappresentano la cultura, rinuncerebbe mai a sciogliere un'allegoria e a coglierne così la vera essenza. L'allegoria, proprio per questo motivo, non dev'essere un enigma, dove «l'idea fondamentale è imbozzolata nell'oscurità di nessi che ostacolano il più possibile il ritrovamento della chiave risolutiva»,1 ma dev'essere invece un espediente che pur demandando al testo una pluralità di livelli interpretativi non ne pregiudichi tuttavia la comprensione.

Se ne deduce che l'eventuale pregio di un metodo allegorico non può risiedere nell'inviolabilità della sua cifra, poiché, in quanto procedimento espressivo, l'allegoria serve a spiegare dei concetti in maniera più efficace o a renderne più gradevole la fruizione. Appare risolutiva, in tal senso, una minuta ma densa affermazione di Primo Levi: «la scrittura serve a comunicare, a trasmettere informazioni o sentimenti da mente a mente, da luogo a luogo e da tempo a tempo e chi non viene capito da nessuno non trasmette nulla, grida nel deserto».2

Su tali basi sarà più agevole orientarsi adesso verso l'oggetto di questa trattazione. Pubblicato in Svezia nel 2021, e in Italia soltanto da pochi mesi, Spa di Erik Svetoft è un graphic novel eterogeneo e ampiamente cifrato. Ciononostante, il suo impianto allegorico risulta abbastanza scoperto e non fraintendibile, a dispetto di un progetto d'insieme di non immediata assimilazione. Detto altrimenti: comprendere le singole sequenze narrative e coglierne via via i dettagli richiede una certa accuratezza, mentre l'allegoria che impregna di sé tutta la narrazione e le dà profondità è invece manifesta, decifrabile senza particolari sforzi. Ma non per questo, come si vedrà, risulta meno incisiva o sostanziale.

Tra i fasti di un hotel, rinomato per i suoi servizi di benessere fisico, un misterioso liquido nero comincia a stillare improvvisamente dai muri dall'impiantito (fig. 6). Non si riesce a determinarne la natura, e anche sulla sua provenienza nessuno ha le idee abbastanza chiare, e non perché la perdita sia effettivamente ingestibile ma per l'assurda indifferenza con cui l'evento viene accolto tanto dai clienti quanto dal personale che dovrebbe porvi rimedio.

In questo scenario morbosamente ovattato si intrecciano le vicende di numerosi personaggi: una coppia che fugge dal mondo esterno perché tormentata da una colpa presunta e inconfessabile (fig. 1); un gruppo di colleghi che dietro una maschera di cordialità nascondono insofferenza e un reciproco disprezzo; un ospite di particolare riguardo, eccentrico e viziato, la cui permanenza mette subito in difficoltà lo staff; un cuoco che ne subisce le pressioni e che da lui è costretto a correr dietro alle chimere dell'eccellenza a tutti i costi; un cliente che fra i corridoi intricati dell'albergo vaga senza sosta come un Assuero spaesato (fig. 4); un dipendente alle prime armi divenuto oggetto delle arbitrarie vessazioni del direttore della SPA, uomo debolissimo sul cui passato grava l'ombra di un padre tirannico e ingombrante (figg. 2 e 3); la responsabile del personale, che di quest'ultimo è segretamente innamorata e che perciò lo venera, credendolo persona di abilità straordinarie; due sinistri funzionari, addetti ai controlli di qualità, i quali riscuotono munifiche tangenti e che alla bisogna non lesinano neanche la violenza per ottenere il denaro pattuito; e infine due operai che dovrebbero porre fine al guasto (fig. 5) ma che di fatto rimandano alla slapstick comedy e alla coppia di manutentori che nel film Brazil irrompe nell'appartamento del protagonista e lo distrugge.3

Nel momento in cui si presenta il problema idrico, appaiono contestualmente i primi segni di un degrado inestirpabile e profondo, radicato nell'edificio stesso e impossibile da nascondere agli sguardi. Ma gli ospiti del resort, come detto, reagiscono passivamente all'accaduto e l'orrore che prende forma intorno a loro è libero così di traboccare, di espandersi fino agli ultimi recessi di una struttura che si intuisce essere vasta e articolata. Le reazioni dei personaggi – che sono sporadiche, minime, talvolta persino assenti – denotano sempre una totale mancanza di preoccupazione e di empatia. D'altronde, sui loro volti si nota una vacua e indelebile inespressività, come una sorta di conferma fisiognomica o un correlativo oggettivo dell'abulia che li caratterizza.

Anche per questo lo stile di Svetoft è minimale e il suo tratto ridotto all'essenzialità dei lineamenti. Nondimeno, se le figure umane si distinguono per la loro bidimensionalità e una sfacciata mancanza di realismo, le scene – pur nel rigore delle simmetrie e delle forme ripetute – sono comunque ricchissime di dettagli. È un espediente antico, sia in letteratura che in altre espressioni artistiche, e l'autore se ne serve con finezza per incrementare il paradossale realismo di ciò che mostra sulla pagina e per mettere in evidenza, quindi, lo scarto fra l'andamento quotidiano della Spa e l'irruzione sempre più marcata di una realtà diversa, mostruosa e inafferrabile.

La comparsa dell'ignota sostanza nera che si fa largo fra le stanze e i corridoi è, come già accennato, soltanto il sintomo iniziale di una serie di maligne fioriture che inesorabilmente consumano la facciata idillica ma illusoria di questo finto paradiso. Mentre l'ingresso degli ospiti nella struttura termale era stato accolto infatti con gli slogan più fastidiosi e triti – «Un’oasi lontana dalla vostra vita quotidiana», «Un luogo per godere del vostro tempo libero» e così di seguito – l'arrivo del male smaschera questa pantomima, mostrando il vero lato, quello oscuro, della tanto osannata industria del benessere.

Esseri deformi cominciano ad aggirarsi allora per l'albergo, a fuoriuscire dagli angoli più riposti o semplicemente a manifestarsi e vagare in mezzo agli ospiti e al personale di servizio. Una mano enorme sorge dalla buia cavità di una porta, alle spalle di un cliente che non ne sospetta la presenza, trascinandolo con sé, dopo averlo afferrato per la testa, nell'oscurità. Il giovane inserviente, che al suo primo giorno di lavoro era stato costretto dal direttore a indossare per punizione un finto naso da porcello, scova un paio di maialini all'interno di una nicchia, ma, dopo averli fatti uscire, altri ne vengono fuori, a frotte, e non più semplici cuccioli, bensì suini d'ogni possibile stazza ma di impossibili sembianze. Una creatura – che sembrerebbe emersa dai taccuini di Junji Itō o dalle profondità marine, benché sia dotata di arti inferiori e deambuli per gli androni – attraversa indisturbata alcuni ambienti, mentre un'altra, che per la vita in acqua sembra possedere invece tutto l'occorrente, viene inseguita da una donna che le dà la caccia a colpi di fiocina. Un verme stacciuto quanto una grossa biscia penetra nel cranio del padre del direttore e si autoproclama subito dopo nuovo presidente del Consiglio di amministrazione.

Sono soltanto alcune delle fantasmatiche e maligne epifanie che turbano l'ordine della SPA, ma senza per questo innescare minimamente le reazioni di panico che ci si potrebbe aspettare in una situazione del genere. E qui arriviamo al motivo della premessa: queste figure, che siano o meno delle allucinazioni partorite dalla mente di chi occupa per svago o per lavoro la struttura, oppure delle emanazioni della struttura stessa, hanno tutte un carico allegorico che porta alla medesima congettura: la rappresentazione messa in piedi da Svetoft è un modellino in scala della società ormai anestetizzata in cui viviamo, dove l'orrore circola giornalmente indisturbato, fra l'indolenza e la disattenzione generale.

Gli ospiti della Spa, difatti, sono quelli che ottusamente credono alla favola della catarsi offerta da uno dei molti centri benessere che la promettono, sono quelli che non comprendono quanto possa risultare inefficace un'armonia preconfezionata e stantia, effimera non solo perché priva di durata ma perché inevitabilmente frivola, vuota. Il centro termale non purifica nessuno – se mai secerne sostanze contaminanti e innominabili – non purifica ma ne dona soltanto l'illusione, come una metafora nella metafora del sistema capitalista, un sistema impossibile da sostenere ma impegnato comunque nel tentativo vano di mantenersi in vita. E se a un certo punto il liquame scuro invade questo luogo deputato al riscatto fisico ed emotivo di chi è scappato dalle proprie consuetudini, allora non bisogna fare molti sforzi per comprenderne la natura potentemente simbolica.

Spa è un romanzo grafico corale che vorrebbe far riflettere i lettori e che ci riesce benissimo, servendosi di un linguaggio figurato ma immediatamente comprensibile e di un'idea piccola ma capace di propagarsi con la stessa inesorabile forza con cui il liquido nero stillato dai muri del resort e si fa strada dentro e fuori le pagine del libro. La chiosa, a questo punto, spetta certamente a Primo Levi: «Finché viviamo, e qualunque sia la sorte che ci è toccata o che ci siamo scelta, è indubbio che saremo tanto più utili (e graditi) agli altri ed a noi stessi, e tanto più a lungo verremo ricordati, quanto migliore sarà la qualità della nostra comunicazione».4

Ad maiora.

Note

1 Bice Mortara Garavelli, Manuale di retorica, Milano, Bompiani, 2003, cit. p. 263.
2 Primo levi, L'altrui mestiere, Torino, Einaudi, 2018 [I ed. 1985], cit. p. 53.
3 Cfr. Brazil, 1985, regia di Terry Gilliam.
4 Ivi, cit. p. 2.