Un po’ di tempo fa, mi sono trovato ad avere uno scambio di idee con un mio amico e collega su quale fosse il periodo musicale più fertile e incisivo dal punto di vista della qualità della musica suonata e di pari passo quale è stato Il periodo che abbia influito di più a livello mondiale.

Rimanendo ognuno sulle proprie posizioni come era ovvio, io continuo a pensare che la musica degli anni ’70 sia stata di gran lunga migliore di quella degli anni ’80, ma il nostro dibattere e confrontarci mi ha portato inevitabilmente a considerare un secondo aspetto molto più importante di quello appena menzionato.

Il punto è che indipendentemente da quanti anni abbiamo, tutti noi siamo legati a filo doppio a dei ricordi che ci fanno tornare alla memoria i nostri anni dell'adolescenza o dei primi vent'anni della vita, ma poi questa sensazione rimane come… sospesa nel cielo.

Considerando quindi questa mia indecisione su dove e soprattutto su come collocare questa epoca e questa serie di eventi, ho concluso che questa sensazione sarebbe meglio porla in forma di domanda:

«Cosa rimane esattamente di questo periodo e come? E perché può essere giudicato di livello superiore?».

Vorrei però fare una premessa che ritengo doverosa; non posso parlare del “caso particolare”, del dettaglio, se non parlo prima del contesto.

Sì, generalmente non mi piace parlare della cornice - per quanto possa essere bella - se prima non parlo del quadro, che è il più importante.

Il quadro generale

Ovviamente, non sono un sociologo, ma l’espressione good old days cioè i bei vecchi tempi, sento di poter affermare che non era solo una questione legata alla mia adolescenza, ma era riferita ad un periodo di generale ottimismo e fiducia, gli uni verso gli altri.

Per citare solo alcuni fatti: Reagan contro o insieme a Gorbačëv, che provarono con tutte le loro forze a creare un clima distensivo - ed è certo che in gran parte vi riuscirono - abolendo nei fatti la Guerra Fredda.

Il crollo del Muro di Berlino nel 1989 che generò a sua volta, giustamente, un certo clima di diffusa speranza; il conseguente boom economico che abbiamo rimpianto più e più volte non essendo stati capaci, a livello mondiale, di tenercelo stretto e cercare di replicarlo e cosa non meno trascurabile per noi Italiani, la vittoria ai Mondiali di Calcio del 1982 che ancora oggi celebriamo, dopo 40 anni!

Ecco, ora che il quadro è più chiaro e tutti i suoi colori esprimono meglio la profondità dei colori stessi e anche delle ombre, come farebbe un bravo Caravaggio... ora mi posso addentrare nei particolari che più amo.

La cornice

Provando a viaggiare a ritroso con la macchina del tempo, l’unica chance che ho è quella di ritrovare questa sensazione come tirandola fuori da un cappello del prestigiatore, ma no perché abbia dimenticato, no, non è questo, ma perché bisogna andare a pescare nel profondo dell’anima, lì sotto, dietro la piega più nascosta, come un moderno speleologo dei sentimenti, che mette prima la muta della saggezza, poi il casco della spensieratezza, la cintura della riflessione e si porta la torcia della gioventù bene accesa davanti a gli occhi e va giù, immergendosi, (ma sono sicuro che è là, la sento) e cercare gli spunti più facili e quelli a me più vicini e cioè: la musica ed il cinema.

Ho provato ad analizzare quello che nella prima parte del titolo di questo articolo, a volte risuona dentro la mia testa come un ritornello malvagio e cioè: «Quei favolosi anni...» in questo caso sono costretto a dire anni '80.

Ora, lungi dall'essere retorico, melodrammatico e dal parlare in tono mellifluo come un noto presentatore abbronzatissimo della tv nazionale, il quale, meschino, fa solo programmi stucchevoli e strappalacrime ai non vedenti, perché chi ci vede bene, vede anche bene quanto sono trash questi programmi, ora dicevo senza parlare come lui, mi preme sottolineare l'aspetto sociologico e secondario della domanda/titolo.

E cioè: Ma... erano veramente così fantastici?

Andiamo per ordine.

Favolosi anni ’80 della musica, ovvero gli anni della mia gioventù

Innanzitutto, è innegabile dire che - proprio negli anni ’80 - ci sia stata una grande esplosione di talenti musicali tutti insieme, solo per citare:

Spandau Ballet contro Duran Duran, Madonna contro Cyndy Lauper, Prince contro Michael Jackson, Wham contro i Fine Young Cannibals, Genesis (secondo periodo) contro i Queen (ultimo periodo), Bruce Springsteen al culmine della sua esplosività americana contro Dire Straits, Boy George contro Matt Bianco, i Police contro gli U2,Whitney Houston contro Mariah Carey, Regina Rogers contro Donna Summer, Sade contro Simply Red, Depeche Mode contro gli Style Council e sicuramente mi dimentico di qualcuno…

Tutti super big nel loro genere, più tutta una serie di altri gruppi e cantanti minori che hanno caratterizzato un periodo intenso non solo con voci interessanti, ma anche con personalità, in un periodo fertilissimo di vera e propria sperimentazione musicale.

Basti dire che, mentre scrivo questo articolo, in sottofondo ho messo i Dire Straits, i quali pensavo nel 1986, facessero la musica migliore al mondo.

Lo ricordo come fosse oggi: caserma a Chieti, Abruzzo.

“Un freddo della Maiella” si usava dire, prendendo il gioco delle parole dalla Maiella appunto, cima maestosa dell’appennino Abruzzese che minacciosa ci guardava in lontananza da fuori della caserma, spirando non solo vento e gelo, ma spirando anche minacce di farci rimpiangere il caldo più estremo di qualsiasi estate.

Passavo le mie ore di guardia a terra, vicino all’armeria, in compagnia di musica dei Dire Straits, appunto, che risuonavano assordanti nelle mie orecchie grazie a cuffiette sapientemente nascoste sotto cappello e passamontagna e che scivolavano sotto la mimetica arrivando ad un walkman pieno solo di audiocassetta con tutto ma proprio tutto il disco Alchemy Live dei D.S.

Ora, senza andare fuori argomento, è “lapallissandro”, come diceva un comico napoletano, che tutto questo fermento e di conseguenza questa competizione, abbia lasciato dei vinti e dei vincitori; vincitori per lo più eterni, perché rimasti famosi a livello planetario e gli altri, bellissime meteore diciamo così, che però fa ancora bene all’anima sentirli, anche se per una sola hit.

Però non è questo il punto; il punto è proprio l'odore della battaglia! L'odore della guerra appena consumata.

Seppur cruenta, anche la battaglia più dura lascia nell'aria un certo odore; di polvere da sparo se vogliamo descriverla in senso lato, ma comunque in senso filosofico, un bellissimo alone di magia drammatica ma irripetibile.

In questo senso, direi quindi un sonoro sì!

Sì, gli anni 80 a livello musicale mondiale sono stati veramente fantastici, mentre ancora più fantastica in senso positivo era l’atmosfera di spensieratezza ed ottimismo che contraddistingueva quel periodo; molti studiosi, sociologi e psicologi hanno riconosciuto, come dicevo a causa di numerosi cambiamenti politici, un certo senso di genuino fervore adolescenziale di tutti in quel periodo, come fosse vicino veramente un periodo migliore, sincero, spontaneo e - paradosso dei paradossi - soprattutto che non sarebbe finito mai.

Favolosi anni ’80 del cinema

Addentrandomi di più nella parte del ragionamento che preferisco e quindi sconfinando nell’ aspetto comunicativo a cui tengo di più di tutti e cioè il cinema, tutto quanto affermato sopra per esempio non potrei dirlo con la stressa tranquillità anche per quanto riguarda i film dei primi anni ’80.

Esempi?

Diciamo prima una cosa: come disse una volta un critico, credo fosse Carlo Lizzani, in ogni film ci sono almeno due minuti di purissimo Cinema, si quello con la C maiuscola, quello in cui, in quella scena particolare scopriamo della vera poesia, del vero talento, non solo dell’attrice, ma del regista, del Direttore della fotografia di tutti insomma e in primis, di chi ha scritto quella storia eccezionale.

Un’immagine su tutte: Sophia Loren nel film La Ciociara quando piange a dirotto tutto il suo dolore dopo esser stata violentata: insuperabile!

La stessa Loren, disse di aver recitato solo una volta quella scena, cosa abbastanza insolita, nel cinema, perché anche se una scena è “buona la prima”, se ne fa sempre un’altra per sicurezza.

In quell’occasione, in quella scena così drammatica, il pathos e il coinvolgimento della Sofia nazionale fu così profondo che l’attrice pianse veramente, in una sorta di trance emotiva parossistica.

Partendo quindi da questo presupposto dei due minuti di pura arte, alla fine quasi tutti i film potrebbero salvarsi, ma a dirla tutta, pochissimi film degli anni ’80 reggono il passare del tempo e il passaggio sotto il mio occhio critico, e non solo il mio.

Per prima cosa vorrei dire che i film che si salvano si salvano perché erano commedie; Una poltrona per due, The Blues Brothers, definendo così per tutti anche il motivo di tanto successo e cioè che qui il ridere o meglio a volte solo il sorridere, salva tutta la situazione.

La mancanza di storie profonde e nell’insieme di contenuti lascia un po’ l’amaro in bocca lasciandomi inoltre con pochi film contati sulle mani che forse neanche arrivano a 10.

Gli effetti speciali erano un po’ buffi, gli intrecci psicologici - tranne forse 9 settimane e ½ vero film cult e spartiacque di due generazioni - erano abbastanza prevedibili.

Mi vengono in mente filmoni invece degli anni ’70, che avevano una profondità maggiore e che sono irripetibili: Qualcuno volò sul nido del cuculo, con l’enorme personalità di Jack Nicholson che con la sua interpretazione di mostruosa bravura, non a caso gli valse il premio Oscar.

Oppure Kramer contro Kramer - guarda caso l’ultimo film degli anni ’70 (per inciso 1979) con un Dustin Hoffman e Meryl Streep già proiettati verso l’olimpo degli Dei del Cinema.

Ora, senza voler fare un paragone con gli anni ’70, che ripeto, a livello di Cinema, trovo più pieni di capolavori, gli anni ’80 brillano alla fine di contro balzo! Di controluce! Di riflesso!

Ma sì, Indiana Jones e il tempio maledetto (1984), E.T. l’extra-terrestre (1982) e tutta una serie di film “leggeri”, trovo che pur non avendo la cura del soggetto e dei dialoghi e lo spessore di trame, di idee e contenuti, dei loro “cugini” degli anni ’70, siano per questo carini e da “perdonare” per la loro ingenuità figlia proprio dell’atmosfera degli anni ’80.

Della serie; in quel periodo, quello era il mood e diversi non sarebbero potuti venire.

Forse sì, è proprio così.

Conclusioni

Quali vantaggi quindi traggo in conclusione, per rispondere alla prima domanda, «Cosa rimane esattamente di questo periodo»? Un bel po’ direi.

Il primo vantaggio è di avere non solo una cultura musicale che spazia dagli anni ’70, che mediamente, ripeto, ritengo superiori, ma di avere a disposizione nella mente anche e soprattutto belle canzoni della giovinezza che, quando le riascolto, fanno venire quel brividino lungo la schiena.

Quella radio, sempre la stessa, perché ho paura di dimenticare quelle canzoni, ma so già che non è così, visto che in macchina, nessuno mi sente, ricordo a memoria - per forza- tutte le parole di tutte le melodie degli anni ’80.

Questo per quanto riguarda la musica.

Ora quali sono i vantaggi di aver visto praticamente tutto il cinema esistente dagli anni 1970 ad oggi?

Il primo vantaggio è avere una cultura sotterranea, fatta non solo di libri e romanzi letti ma di averli visti anche rappresentati sul grande schermo.

Il secondo vantaggio è quello di avere a disposizione una montagna praticamente infinita di immagini che metto costantemente a confronto per migliorare e tenere sempre allenata la mia vena un po’ esigente, critica ed insaziabile di belle storie e belle immagini da: Una 44 magnum per l’ispettore Callaghan (1973) di e con Clint Eastwood a “Sarah Connor?” del film Terminator, da Indiana Jones a Guerre Stellari, da La mia Africa a C’era una volta in America fino ai giorni nostri.

Infine, posso dire che, e questo credo sia il focus, a prescindere dalla qualità delle canzoni e dei film presi ad esempio fino ad adesso in questo articolo, credo che la risposta sia appunto e prima di tutto di tipo emozionale.

Mi spiego meglio: il buon Troisi prendeva il giro il povero Gianni Minà con queste parole:

«Però basta Gianni! non inviti mai nessun bambino qua per chiedergli cosa ricorda degli anni ’60!».

Ricordo che oltre a Troisi, Benigni e al pubblico presente a quell’intervista, ne rideva sotto i baffi anche lo stesso Minà.

La risposta era ed è emblematica: «Ma io (Minà) lo chiedo a tutti perché negli anni ’60 ero giovane io...».

Sì, tutto ciò che è stato prodotto, forse non regge il passare del tempo, ma ogni volta le emozioni suscitate da questo periodo musicale e cinematografico offuscano anche il critico più esigente e il melomane più accanito della perfezione.

È questo il punto focale di tutto; l’odore della battaglia.

E così, in un patchwork di immagini e musica, vedo nell’ordine: Tardelli che dopo il suo gol di sinistro alla Germania, vero e proprio missile terra aria, buca la porta di Toni Schumacher e poi, col suo urlo mondiale fa cadere il muro di Berlino mentre Reagan e Gorbačëv cantano insieme ai Dire Straits Setting me up, put me down e sul muro del Santiago Bernabeu, ormai rovina fumante, scorrono le immagini di Taxi Driver, dove uno allucinato Robert De Niro, si domanda alla specchio come ci fosse un ipotetico nemico: «Stai parlando con me? Ce l’hai con me?».

Godiamoci quindi questi momenti senza tanto clamore, né giudizio troppo affrettato, e il brivido dei ricordi è assicurato.

Così, in conclusione direi, parafrasando Gotthold Ephraim Lessing: “L’attesa del piacere, non è piacere anch’essa?”.