L'organizzazione generale dell'insegnamento, anche a Roma, si articolava in tre livelli che corrispondono a tre tipi di scuole con tre maestri specializzati. Tra di essi ricordiamo colui che, da Bonner viene ricordato essere estremamente presente a Roma,1 soprattutto dopo la guerra macedonica del 168 a.C.: il paedagogus.2

Roma conobbe la figura greca del pedagogo quando venne a contatto con la cultura della Magna Grecia prima, e poi, nel corso del II sec. a.C.3 Più si progrediva nel tempo, più l'educazione latina tendeva a identificarsi con l'educazione greca della stessa epoca; più le generazioni passavano, più si cancellavano i resti di quella tradizione arcaica nella quale Roma affermava, di fronte alla Grecia, la sua originalità. Più si andava avanti, più la cultura romana accentuava gli elementi libreschi; l'educazione, quindi, tendeva sempre più a ridursi all'insegnamento scolastico e la scuola era completamente fin dall'origine, d'ispirazione greca.4

Il ruolo del pedagogo era inizialmente quello di badare al fanciullo, seguirlo negli spostamenti fra casa e scuola ma soprattutto, successivamente, ebbe l’incarico di sorvegliarlo e educarlo nei compiti e nelle buone maniere. La scelta della figura rispondeva a necessarie doti morali e linguistiche, al fine di rivestire questi delicati compiti, senza però abusare del potere di cui venivano rivestiti. Per imporre la figura, talvolta vista con disprezzo, ricorrevano a punizioni con la ferula e rappresaglie terribili, viste spesso di malocchio dai genitori. Nonostante ciò, esse non impedirono il formarsi di un rapporto di amicizia e affetto tra il protetto e il protettore, il quale era anche accolto presso la loro domus.5

Oltre alla figura del pedagogo, l’educazione romana prevedeva altre figure: il ludi magister o primus magister, spesso di condizione servile, destinato all’istruzione di bambini dai 7 agli 11 anni. Diverso era invece il grammaticus, più colto e retribuito, favoriva successivamente l’acquisizione della proprietà del linguaggio e l’apprendimento a memoria di testi poetici e il rhetor, insegnante superiore che, con le esercitazioni preparatorie, forniva all’allievo la capacità di comporre in prosa e lo preparava alla pratica della declamazione, alla composizione di finte orazioni, dette, suasoriae e controversiae. Sempre quest’ultimo viene comparato dal Reali,6 in relazione al ruolo sociale rivestito, ai moderni docenti universitari e proprio su tale scia Marrou,7 grande studioso dell’educazione nel mondo antico, ne indica una paga superiore a tutti gli altri. Giovenale, a tal proposito, nel II secolo a.C. parla di 2000 sesterzi all’anno per alunno, uno stipendio quattro volte superiore a quello previsto per un semplice grammatico.

Quanto alla difficile ma intrigante questione stipendiale, il Marrou8 ci offre alcuni spunti. Egli afferma, ad esempio, come il “maestro elementare” definito un povero diavolo, non pasteggiasse con il pregiato vino Falerno, mezzo litro del quale costava 30 denari, ma con il vinello da tavola che costava tre volte di meno, indicando la bassa retribuzione.9

A Roma, lo Stato, diversamente dai Greci, i quali rimasero colpiti dall'inesistenza di un ordinamento scolastico statale, non si interessò della sua organizzazione e dell'istruzione fino all'arrivo di Vespasiano.10 In linea con le caratteristiche della società arcaica, l’educazione dei bambini delle classi dell’aristocrazia fu interamente affidata alla famiglia e in domi atque intra privatos parietes,11 in cui il pater familias era investito della patria potestas, potere assoluto nell’ambito della propria famiglia, che escludeva ogni ingerenza estranea. Il figlio si istruiva non solo con gli insegnamenti del padre ma anche con quelli della madre (durante l’infantia dei figli). Plinio il Giovane, Svetonio, Plutarco e Cicerone offrono esempi di questi domestica praecepta.12

Nelle famiglie più abbienti, si andavano affiancando anche i precettori privati di origine greca, che indirizzavano il loro sapere non solo ai maschi ma anche alle femmine (come si attesta dalle testimonianze di età repubblicana). È in questo scenario delle classi sociali più elevate che la figura del pedagogo si inserisce.

Diversamente accade con l’insegnamento pubblico. Quest’ultimo, a Roma, era considerato fra i mestieri più disprezzati (come testimoniano Cicerone13 e Seneca14), non solo perché coloro che lo esercitavano erano di bassa estrazione sociale e talvolta di condizione servile, ma il loro era un mestiere retribuito e come tale molto male considerato. Il salario era modesto e ciò causava una precaria situazione economica, soprattutto dei maestri elementari, poiché talvolta non sempre ricevevano tale compenso dagli alunni. Ulteriori cause della precaria condizione economica, soprattutto del ludi magister, erano il numero degli allievi a volte molto scarso. Migliore era però la situazione del grammatico e del retore: a Roma, dalla metà del II sec. a.C. in poi, si aprirono molte scuole di grammatica che in certi momenti superarono il numero di venti.

Stando alla testimonianza di Orazio, al maestro elementare ogni allievo pagava l’onorario appena otto assi, cioè mezzo denario;15 mentre i grammatici e i retori, stabilivano con i genitori, quando venivano a iscrivere i loro figli, l’ammontare della retribuzione e la sua scadenza annuale, a lavoro compiuto, nonostante talvolta escogitassero escamotage per non saldare il loro debito.16 Essi si rifiutavano di pagare la tariffa convenuta se i figli non erano stati istruiti nel modo dovuto; quindi, per assicurarsi il loro sostentamento, come riportato da Bonner, i maestri erano portati a adottare metodi severi e a fare in modo che i ragazzi, volenti o nolenti, imparassero ciò che veniva loro insegnato.

Quanto ai luoghi dello svolgimento, essi erano modesti: una specie di tettoia, in sale private oppure, talvolta, all'aria aperta. Gli esercizi venivano effettuati su tavolette di legno ricoperte da uno strato di cera, su cui si incidevano le lettere attraverso uno stilo (stilus) di metallo, legno e anche a volte di osso e di avorio;17 si attestano anche penne di canna (calamus) e in bronzo18 e altri oggetti e strumenti di cui essi si servirono: la cattedra, cathedra su pulpitum, il mantello,pallium e anche delle tavolette di cera, tabulae ceratae.19 Per quanto concerne l'organizzazione scolastica, si attesta una grande affluenza di alunni nelle scuole di grammatica e di retorica, che probabilmente faceva sì che nella stessa aula erano presenti diversi maestri impegnati contemporaneamente con diversi gruppi.

Si trattava, in conclusione, di un’educazione che, subendo, con l’assoggettamento dei territori di lingua greca, il fascino della παιδεία ellenistica, non si allineò mai comunque totalmente ad essa. Infatti, l’istruzione romana, permeata dal mos maiorum, ha una sua originalità che le è data dal fatto di essere fondamentalmente legata alla realtà concreta della vita.20

Note

1 S. F. Bonner, Education in Ancient Rome: From the Elder Cato to the Younger Pliny, Liverpool 1986, p. 58.
2 M. Prellezo, Educazione, scuola e pedagogia nei solchi della storia, Roma 2009, p. 153.
3 C. Fayer, La vita familiare dei romani antichi, Roma 2016, p. 50.
4 H. I. Marrou, Storia dell'educazione nell'antichità, Roma 1971, p. 353.
5 C. Fayer, La vita familiare dei romani antichi, Roma 2016, pp. 50-52.
6 M. Reali, Vita da prof nella Roma antica.
7 H. I. Marrou, Storia dell'educazione nell'antichità, Roma 1971, p. 375.
8 H. I. Marrou, Storia dell'educazione nell'antichità, Roma 1971, p. 356.
9 M. Reali, Vita da prof nella Roma antica.
10 M. Prellezo, Educazione, scuola e pedagogia nei solchi della storia, Roma 2009, p. 150.
11 Quint., Inst. Or. I, 2, 1-2.
12 Plin., Ep. Libri Decem, VIII,14, 6; Svet., De Vita Caesarum. Divus Augustus, 64, 2-3; Cic. De re publica IV, 3, 3.
13 Cic. De oratore, 42, 143.
14 Sen., Ep. ad Lucilium, 88, 2.
15 Hort., Sat., I, 6, 75.
16 C. Fayer, La vita familiare dei romani antichi, Roma 2016, pp. 48-68, con foto n.17, 22, 23 e 25.
17 M. Prellezo, Educazione, scuola e pedagogia nei solchi della storia, Roma 2009, pp. 156-157 e 160.
18 M. Prellezo, Educazione, scuola e pedagogia nei solchi della storia, Roma 2009, foto p. 157.
19 C. Fayer, La vita familiare dei romani antichi, Roma 2016, pp. 66-68.
20 M. Prellezo, Educazione, scuola e pedagogia nei solchi della storia, Roma 2009, pp. 158-159 e 162.