La leggenda narra che nel gennaio 1972 David Bowie debuttava nei panni di Ziggy Stardust, un personaggio che rappresenta uno fra gli incroci obbligati degli anni '70, sul palco del Tolworth Toby Jug di Londra.

Lo stravagante alieno proveniente da Marte era consapevolmente ispirato a Iggy Pop, che Bowie aveva ammirato qualche tempo prima, nel suo primo viaggio di libertà negli Stati Uniti. Qualche giorno prima di quella stessa estate, sarebbe stato pubblicato l'epico The Rise And Fall Of Ziggy Stardust, un album per il quale sono stati versati fiumi di inchiostro e che continua ad influenzare musicisti e generazioni: nell'iconografia del rock, che in quei tempi stava vivendo l'inebriante stagione dei figli dei fiori e del progressive, non si era mai visto nulla di simile. La sua risonanza fu talmente forte da risultare una cambiale pesante per lo stesso Bowie, che quando era nel pieno della sua maturità artistica, ne prese apertamente le distanze.

Il punto di non ritorno per questo guizzo iconoclasta fu segnato dalla insuperabile esibizione a Top of the Pops, il programma di punta della BBC. In quell'indimenticabile 6 luglio Ziggy ha i capelli arancioni, ammicca, punta il dito verso ognuno dei potenziali spettatori davanti al piccolo schermo, mandandoli in estasi. In un'intervista Lol Tolhurst dei Cure ebbe a sottolineare l'influenza che quell'esibizione ebbe sulla sua crescita musicale: «Ricordo di essermi seduto sul divano a casa con mia madre per guardare la TV, e nel momento in cui Bowie cantò, ‘I had to phone someone so I picked on you', lui venne verso la telecamera guardando dritto: sapevo che stava cantando quella frase per me e per tutti i ragazzi che in quel momento erano incollati davanti alla trasmissione. È stata una vera adunata alle armi che mi ha messo sulla strada che presto avrei seguito».

Bowie all'epoca era una sorta di outsider e la sua figura era ancora in costruzione, in attesa di diventare una star. Ma ormai l’hype intorno a lui crebbe in maniera esplosiva ed irreversibile e l'aura di Ziggy esplose con il giro promozionale di quel fortunatissimo album: concerti andati rapidamente sold out, gradimento ai confini dell'isteria, piena identificazione di un pubblico che lo idolatra senza condizionamenti.

Quel tour portò Ziggy e gli Spiders from Mars dapprima nel Regno Unito e poi negli Stati Uniti. Il 3 luglio del 1973, a un anno di distanza dal passaggio televisivo, Bowie si esibì all’Hammersmith Odeon di Londra: senza alcun annuncio premonitore e tra l'incredulità generale, a fine serata l’artista annunciò che quello era l’ultimo concerto degli Spiders e che il suo alter-ego precipuo sarebbe scomparso per sempre.

L’uccisione di Ziggy quindi o il “rock’n’roll suicide” condensato nell’omonima canzone che chiudeva quel disco fra storia e leggenda. «Di tutti gli spettacoli che abbiamo fatto per questo tour», ribadì dal palco del teatro londinese, «quello di stasera è quello che rimarrà con noi più a lungo… poiché non soltanto è l’ultimo spettacolo di questo tour, ma è anche l’ultimo in tutti i sensi». Quel concerto venne ripreso dal regista D.A. Pennebaker (lo stesso che celebrò la saga del Monterey Pop Festival e di Don’t look back, il film del 1965 dedicato a Bob Dylan) e il documentario divenne una testimonianza essenziale per comprendere un momento essenziale nella storia della musica e del costume.

In occasione del suo cinquantenario, il film è passato giusto qualche giorno nelle sale poco prima di questa estate, in una versione restaurata integralmente che adesso resta a disposizione in questo cofanetto definitivo che contiene il concerto completo in due CD e il filmato in Blu-ray. La risoluzione rispetto a quanto era precedentemente conosciuto\circolato è nettamente migliore. Inutile andare a caccia di superlativi: Bowie/Ziggy è magnetico e trascinante con la sua aura glam a cui è impossibile resistere. Tra i protagonisti del documentario ci sono anche ospiti del calibro di Ringo Starr e Jeff Beck, con in più la performance di The Jean Genie, il brano pubblicato da David Bowie nel novembre del 1972, che non si trovava nella versione originale del documentario. Qui il chitarrista Mick Ronson (stratosferico nei soli di Moonage Daydream e Width of Circle che consentono al leader anche un cambio d'abito) e Beck si lanciano in un duello entusiasmante per il visibilio dei fan che forse neanche si resero conto della fortuna che ebbero al tempo. Lo stupefacente Ronson è l'unico del gruppo ad avere qualche inquadratura decente perché la camera indugia quasi totalmente su Ziggy che ha un carisma inebriante, Beck si era sempre rifiutato di far uscire il suo cameo, nessuno sa bene perché, alcuni suggeriscono che non fosse soddisfatto della sua performance, che invece risulta sensazionale, nonostante il piccolo cono di oscurità da cui emerge a tratti.

Tutti conoscono la grande musica prodotta successivamente e le svariate immagine diverse che ha assunto nel corso degli anni, ma questo era il David Bowie al picco assoluto di perfezione sia musicale che visiva. Rispetto al grande schermo, nel formato in oggetto mancano però i sottotitoli e sarebbe stato apprezzabile qualche ulteriore contributo inedito dal backstage o anche tra gli irriducibili fans in attesa, le cui sparute testimonianze sono già state considerate un piccolo culto, ma in ogni caso non si può prescindere dall'eccezionale valore artistico e storico di questo documento che svela l'epifania di un mito.