Siamo persone che hanno in custodia questa terra. Dovremmo esserlo con più intensità e con più benevolenza, dovremmo aggredire di meno ed essere aggrediti di meno, dovremmo liberarci dall’antinomia amico-nemico per abbracciare con maggiore forza il valore del bene comune. Siamo custodi del mondo, siamo custodi delle comunità con le quali condividiamo il nostro fugace transito terrestre, siamo custodi in primo luogo di noi stessi. Noi, a cui il bene che vogliamo non è mai abbastanza. Siamo custodi, proprio come quegli uomini e quelle donne che in montagna si prendono cura di un frammento di bosco e lo vivono come parte di sé, scevri da ogni pensiero di sfruttamento, cioè di eliminazione dei frutti che proprio quelle terre aspre e accoglienti consentono di cogliere1.

L’agente di custodia

Il custode sorveglia e protegge. Si fa in quattro per preservare ciò che gli sta a cuore e consentire che il bene resti nel tempo o aumenti di valore, se possibile. Nella stranezza della vita, a volte cambiamo tutto proprio per custodire qualcosa di profondo che ha un valore incommensurabile e che rimanendo immobili si andrebbe perdendo. Non solo le virate ma anche le strambate consentono a noi, che stiamo al timone della nostra esistenza, di custodire l’essenza della nostra vitalità e il senso profondo del nostro essere venuti al mondo. Agire è già di per sé custodire.

In latino custode si diceva custos -ōdis, ossia “sorvegliante”, “conservatore”, da cui il tedesco Küster, che vuol dire “sagrestano”, parola che in italiano è connessa al sacro. Nei Promessi Sposi Manzoni fa parlare don Rodrigo della custodia dell’onore. In un dialogo tra lui e il padre Cristoforo, il cattivo signorotto che vuole impedire quel famoso matrimonio dice al frate andato a palazzo per convincerlo di acconsentire lo sposalizio: “Lei mi parlerà della mia coscienza, quando verrò a confessarmi da lei. In quanto al mio onore, ha da sapere che il custode ne son io, e io solo; e che chiunque ardisce entrare a parte con me di questa cura, lo riguardo come il temerario che l’offende”. In definitiva, è proprio così: del proprio onore ciascuno è custode per sé, per sé da solo.

Come vigili, con gli occhi bene aperti

Il custode ha uno sguardo benevolo, ben disposto nei confronti degli esseri senzienti. In primo luogo, sorveglia. Sorveglia e cioè pone i propri occhi sopra le cose e le persone amate, con l’intento di proteggerle. Nella parola sorveglianza troviamo l’idea dello spirito che dall’alto si cala sopra le situazioni. Sorvegliare è il vegliare sopra, laddove nel verbo vegliare riconosciamo l’esito popolare del latino vigĭlāre, che voleva dire proprio “vegliare”, “stare ad occhi aperti”. Chi sorveglia non si addormenta, trascorre il proprio tempo con lo sguardo pronto, attento, vigile.

E anche la parola vigile è imparentata con la parola sorveglianza. Ancora una volta è la lingua di Cesare e Cicerone che ci viene incontro per aiutarci a capire, a scavare un po’ in profondità. Il verbo latino vigēre significava “essere forte, robusto, vivace” e anche “essere potente, in auge”. Inoltre, è una variante di vĕgēre, che vuole dire “essere vivo”, “vigoroso” e si confronta col sanscrito vājas “forza” e con l’antico alto tedesco wekken “svegliare” (in inglese l’evoluzione della lingua ha prodotto da quella radice il verbo to a-wake, “svegliare’ e “svegliarsi”). Chi sorveglia usa lo sguardo per osservare, è forte e dà forza a ciò che osserva. Wake up!, sorvegliante, resta sveglio: c’è un gran bisogno di te che hai tutta la forza che ti serve.

A guardia del faro

Il custode guarda la luce. Ce lo immaginiamo lì, il guardiano del faro, in quella casupola edificata sullo spuntone di roccia, alla fine della penisola di terra che si incunea nell’oceano. Il guardiano del faro è il custode della luce, seppure intermittente. Presidia i confini, svolge un mestiere di conforto per le altrui vite, è indispensabile per garantire la correttezza delle rotte, è consapevole dei rischi che i flutti delle esistenze umane portano sempre con sé. La sua solitudine è vasta quanto il mare aperto, eppure non rinuncia a rimanere aggrappato all’estremo, spalancando gli occhi, scrutando l’orizzonte per cercare la tua nave, per avvisarti se la tua imbarcazione si avvicina troppo agli scogli. Guarda e insieme fa la guardia. In francese è più marcata la differenza tra il guardare e l’essere guardia: regarder nel primo caso, garder nel secondo. Ma il nostro guardiano è insieme occhiuto e custode. Sorveglia, osserva, scruta e insieme tiene a bada come solo chi volge al meglio lo sguardo sa fare.

Un tetto per riparare

Il custode protegge ciò che gli (e ci) sta a cuore. Ama, ha cura, ascolta, difende. Cerca di costruire un tetto sopra gli affetti che prende in custodia, in modo da evitare che i temporali della vita bagnino le superfici e penetrino nelle profondità sconvolgendone le essenze. Nella parola proteggere troviamo proprio quel tetto, che può essere di paglia, di canne o di più robuste tegole, come nella fiaba del lupo e dei porcellini, ma rappresenta pur sempre una protezione, una barriera, una difesa rispetto alle intemperie.

Nonno della parola proteggere è il verbo latino protĕgĕre con il significato appunto di “ricoprire”, “difendere”, “proteggere”, da tĕgĕre “coprire”, con il prefisso pro-. Il protettore copre con benevolenza, usa tutto sé stesso per rivestire, per foderare, per ammantare, con la consapevolezza che “virtù non luce in disadorno ammanto”, come ci racconta Giacomo Leopardi nell’Ultimo canto di Saffo.

La difesa e le fessure

Come in alcuni sport, in cui i difensori proteggono la porta dalle incursioni della squadra avversaria, così i custodi difendono il territorio, lo proteggono dalle fessure, dalle fenditure, dalle crepe generate dallo sfruttamento. I custodi sono avversi alle fessure. Nella parola difendere rinveniamo la potenza fisica del latino defendĕre che voleva dire “difendere”, “proteggere” e anche “respingere”, da un ipotetico fendĕre “colpire”, non attestato come verbo semplice, con il prefisso pref. dē-. Nella difesa immaginiamo il custode intento a riempire le fenditure di sostanze che consentano una rimarginazione, una sutura, un nuovo collegamento tra le parti che si sono fessurate. Il difensore è il massimo esponente del kintsugi, l’arte giapponese di riparare la vita.

Quando conservare è badare al meglio

Il custode conserva, presta attenzione, bada che tutto proceda per il meglio. È in questo un conservatore, non un rivoluzionario né, tanto meno, un ribelle. Nel conservare, si dedica al serbare, dal latino servāre che vuol dire “conservare”, “custodire”, “badare”, “fare attenzione”, verbo derivato dal sostantivo servus nel significato originario di ‘garzone’, ‘guardiano di pecore’, ‘custode delle greggi del signore’. E qui la correlazione tra il conservare e l’osservare ci aiuta a capire: per essere bravi custodi, per tenere a bada le singole pecore, dobbiamo in primo luogo usare al meglio la vista.

Note

1 Tredici storie di persone che raccontano la loro esperienza di protezione dei territori in cui abitano sono raccolte nel docufilm Custodi del regista Marco Rossitti, docente di cinema all’Università di Udine e vincitore nel 2023 del Premio Dolomiti Patrimonio Mondiale alla settantunesima edizione del Trento Film Festival.