Tu lo sai cosa significa morire? Non mi riferisco all’atto di trovare la morte, mi riferisco piuttosto alla possibilità di fare esperienza della morte. È un errore considerare la morte soltanto nel presente, e non come una possibilità dell’esistenza. L’eternità è un attimo. L’eternità è il presente. Il futuro è quell’impressione con la quale viene trafugato il tuo presente - viene trafugata la tua esistenza - nell’attimo in cui è già passato. Prima e dopo, ma non adesso: il passato e il futuro sono due grandi menzogne.

Ragionando così, soltanto io posso morire, soltanto gli umani possono morire, tutti gli altri esseri viventi trovano la morte. Tu, moscerino, trovi la morte. La pianta trova la morte. Non basta essere umani per morire, è necessario avere memoria, linguaggio, avere spaziotemporalità, è necessario spalmare la propria esistenza per concedersi la possibilità di essere – ed esserci – nello spazio.

Io non sono soltanto perché sono, ma sono perché sono attraversato da tutte le forme dell’essere. Gli umani non vogliono soltanto essere felici, ma vorranno esserlo in futuro, come volevano esserlo in passato. Si innesca così una teoria della mente di ordine superiore: vogliono che gli altri siano felici, si preoccupano che i loro cari lo siano. Starai pensando, moscerino, che tutti gli umani siano uguali. No. I fanciulli assomigliano più a te, sono ancora privi di memoria e il loro linguaggio non li spazializza nel passato, nel presente e nel futuro, non distinguono l’io dal noi. Chi non può spazializzarsi nel tempo non può morire. Chi non muore è immortale, ed essere immortale vuol dire vedere l’aperto. Gli occhi tendono alla morte intorno, diventano trappole al suo libero scorrere.

Ciò che è fuori lo si conosce soltanto dal suo volto. Vedere ciò che ha forma, nell’aperto, vuol dire vedere la profondità. La profondità non finisce mai, e questo vuol dire essere liberi dalla morte. La morte, questa, così, la vedo soltanto io. Tu, moscerino, hai il tuo tramonto sempre dietro di te e l’assoluto davanti a te: quando vai, vai nell’eterno, come fanno le fonti d’acqua. Io non ho mai lo spazio puro innanzi a me, lo spazio nel quale si schiudono all’infinito i fiori. È sempre mondo, e non respiro mai in un luogo incustodito. Perdere questo segreto scuote tremendamente. Vicino alla morte non si vede morte, si guarda con sguardo grande.

Gli amanti, se non ci fosse l’altro a precludere la vista, sono prossimi a questo e si stupiscono. Quasi per una svista, per loro dietro l’altro si schiude l’aperto. Di là da chiunque nessuno avanza libero ed è di nuovo mondo. Rivolto alla creazione, vedo soltanto specchiato nel mondo l’aperto che io stesso precludo, alzo lo sguardo e lo unisco al mondo, che dolce poi mi traversa. Questo è il destino: essere di fronte, e poi null’altro, e poi di fronte per sempre. Ti viene incontro da un’altra direzione, da un posto infinito e ignoto, privo della vista sul suo stato puro. Dove gli umani vedono l’avvenire, tu, moscerino, vedi il tutto. Con quel peso di mancanza grande che grava sempre su di te, ciò che spesso gli umani soverchia: la memoria. Come se una volta, quella verso cui si tende, fosse già stata molto più vicina, più fedele, e il suo accostarsi infinitamente terreno.

Tutto qui è distanza, e là era respiro. La tua danza, moscerino, dentro è ancora limpida, e della sua origine sa tutto. Chi ha perso la memoria è il mondo: continua a vivere, è oltre la condanna della spalmatura nel passato, nel presente, nel futuro. Gli umani disgregano, riaggregano, trasformano: una condanna a essere separati dal mondo, a rappresentarselo, a separarsene, a provare a coincidervi. Qual è il linguaggio che separa gli umani dal mondo? Penso, parlo: mi struggo e mi separo dagli altri. Gli umani dovrebbero provare a dire le cose del mondo, le cose che li rendono umani appunto, attraverso dei pensieri semplici e traducibili con il linguaggio logico. Tutto quello che non so, tutto quello che non conosco. Le cose importanti, quelle di cui hanno paura, le cose ultime: amore ed esistenza.

Non possono dire queste cose, possono parlare delle formule scientifiche che descrivono il mondo, il senso delle cose si coglie quando scompare. Comprende il senso della vita chi non sa di averlo compreso, o meglio chi è nel mondo in silenzio, non nella parola che separa dal mondo. Non disgregare il mondo, non massacrare il mondo, forma una storia, una sostanza, una struttura. La tua storia. Annullare il dramma del passato, qualcosa che non si può più cambiare, e smetterla con la promessa certa del futuro. Il moscerino che fa qua e là, è più mondo di quanto lo siano gli umani. Tu sei più mondo di quanto lo sia io. L’eternità è non poter morire. Tu, moscerino, non ricordi di essere mai nato, non hai la memoria dell’io, forse - per te - il morire non sarà così importante. La morte è l’evento più importante della vita, e la vita è l’evento più importante della morte. Quando la morte scompare, il mondo si dissolve.