Molti rapporti nella vita non li scegliamo, come quelli con superiori, colleghi, fratelli o con il proprio padre. Soffermandosi su quest’ultima figura pare evidente come più di tutti sia il rapporto più iniquo che esista. Da un lato non lo si sceglie, non si può fare altro che crescerci dentro combattendo per la propria individualità e capendo quali elementi sono propri e quali ereditati e come gestirli. Dall’altra il padre, se è un buon padre, vedrà i propri figli evolversi e deve esserci sempre, assecondando le loro inclinazioni. È uno strano equilibrio che oscilla tra sofferenze, incomprensioni e chiari silenzi, oltre i quali non c’è nulla da indagare. Per essere dei buoni figli, basta essere sé stessi, invece, essere buoni padri è difficile ed averne uno è davvero raro e serve tanta fortuna. Io, dalla mia, posso solo dire di essere un ragazzo fortunato.

Immersione

Amare è come respirare.
Io me la ricordo
la scoperta del mare
i banchi infiniti di meraviglia
i cespugliosi coralli
e i momenti sbiadire piano
e dolcemente quasi non avessero fine.

Anche le storie mi ricordo
che mi facevano volare
che quasi Ustica era un granello
e spariva nel mare,
dove andavi sempre tu
e io non ero ammesso.

Poi la prima bombola
pesante, con le spalle rosse
graffiate e Alì
che mi teneva per il gav
così da farmi camminare
fino a schiumare in mare.

Che schifo il mare e come brucia
e tu che ci passavi le ore.
Però eri così calmo
mai sfuggente
nel blu trovavi pace.

Ho sedici anni e siamo a sedici metri
consumo bombole
con la stesso velocità
dei primi amori e delle prime birre
sono passati due anni
e siamo ancora in alto mare,
non bruciano più le spalle
metto la muta adesso
e tu che scendi ancora in maglia della tuta
solo in acqua mi chiedi l’ok
se va tutto bene, così da continuare
o forse sono io, che fuori
ho troppo rumore
che le onde tengono così bene a bada
Pensate avere la pace,
ma solo a botte di un’ora alla volta.

È colpa mia
delle mie inaffidabili memorie
fuori non mi ricordo che delle tue glorie
i tuoi premi ricevuti
i parenti deceduti
più discendo nel mio memoriale
più mi avvicino
al pericoloso termoclino
dopo ho solo granelli scombinati
e pesci colorati
che la affogano lontano
mi ricordo solo discussioni
pianti e quei rumori di notte
che non mi facevano dormire
solo il suo abbraccio li faceva sparire.

Quaranta metri, possiamo stare poco
e mi sdraio sul fondale
da lì vedo tutto e capisco
anche io amo il mare
vita infinita
che si rigetta e si rimesta
capillare di pesci
e ossi corallini
che nascondono un tesoro
anche negli anfratti più piccini.

Non c’è mai tempo di fermarsi
che siamo quasi su
manca solo la pausa di sicurezza
e io avrò sì e no cinquanta bar
alzi la mano e segnali ok
per farmi vedere che ci sei
che tanto lo sai
che io ho respirato troppo
e mi son fatto prendere dal panico,
ma non fa nulla perché tra poco
Io, potrò rilassare le spalle
E tu invece?
Da quando l’ho capito
non ho mai smesso di vederlo
hai un oceano sulle spalle
e vivi bombola per bombola
la pressione non cambia mai
non perdona e non si adatta
alle fatiche quotidiane
sarà per questo che da quando non c’è più
hai smesso di portarmi giù.

Ora so da chi ho preso
la paura di fallire
il coraggio di capire
la scorza per soffrire
e siamo qui
costretti irrequietamente ad amore questa vita
solo nel breve momento
tra una pinnata e l’altra
che infondo lo sappiamo
tra i fermi terrestri pochi sono in pace.
i migliori, ed è così difficile distinguerli
dalla molle, marea d’infelici.