I contrasti, la duplicità delle cose, la magia e il sogno, l’incanto e l’armonia, il viaggio dell’anima e il viaggio della materia... una laurea in Ingegneria Elettronica all’Università di Tor Vergata a Roma e un percorso artistico intriso di auto-analisi: il linguaggio dell’immaginario di Silvia Faieta, “signum mnemonico e magico”, rievoca la trasmutazione alchemica, quello speciale passaggio dal “gelo” all’“ardore”, dal “freddo” al “caldo”, dalla “congelazione” alla “liquefazione”... vivida ed espressiva immagine della trasmutazione dell’anima.

Chi è Silvia Faieta?

La mia ultima opera, della quale è noto solo il work in progress…

Cosa, del mondo che ti circonda, attrae la tua attenzione e cosa riesce ad avere un effetto tale da influenzare la tua ricerca artistica?

I contrasti, la duplicità delle cose, la magia e il sogno che alcuni luoghi e circostanze sanno evocare. L’incanto e l’armonia.

Qual è il pensiero/progetto che sta dietro le tue opere: il tuo lavoro nasce dall’impulso che segue a un’idea o a una necessità? C’è un filo conduttore tra le tematiche affrontate nelle tue opere?

Nel mio lavoro è la necessità stessa di dare una veste “fisica” a un’idea/pensiero, a generare un determinato progetto. Per quanto riguarda le tematiche, tutte le mie opere sono legate da un unico filo conduttore, che consiste in un percorso di auto-analisi, espresso tramite i codici simbolici dell’alchimia e della numerologia. Una sorta, potrei dire, di “razionalismo esoterico”, in cui l’aspetto rigoroso, quasi matematico, dell’opera custodisce il suo più segreto e più intimo significato.

Che approccio hai con la materia per arrivare agli aspetti contenutistici e concettuali delle tue opere?

La scelta di determinati materiali assume un’importanza fondamentale. Ogni supporto è scelto con cura in virtù del concetto che deve racchiude. Nulla è scelto a caso. Tutte le mie opere, da quelle grafiche a quelle scultoree, possiedono, infatti, una continuità nei materiali impiegati, proprio per rimarcare il fil rouge contenutistico delle opere stesse.

C come consapevolezza, M come memoria, P come persona... che significato hanno queste parole nella tua ricerca artistica?

La consapevolezza è una meta cui tendere, anche e soprattutto, attraverso il lavoro artistico. La memoria e la persona, intesa come “Io”, sono il fulcro centrale del mio lavoro, che è totalmente autobiografico. Il tema del ricordo, se questo si vuol intendere con “memoria”, è un argomento a me caro. Credo che le sensazioni, le esperienze e i sentimenti immagazzinati nel nostro vissuto, siano fondamentali per costruire il proprio linguaggio artistico. Una sorta di fondamenta, su cui far evolvere il proprio lavoro creativo e su cui porre le basi per le nostre successive fasi evolutive. L’unico aspetto negativo della memoria è che, a volte, più che essere una buona base da cui partire, finisce per essere una pesante ancora da cui risulta arduo staccarsi…

Nella resa finale di un progetto artistico quanto peso hanno la pianificazione e la ricerca e quanto è imputabile, invece, all’imprevedibilità?

Nel mio caso, la pianificazione riveste un ruolo fondamentale e occupa gran parte dei miei studi preliminari per la realizzazione di un’opera. C’è ben poco di affidato al caso, soprattutto in virtù delle necessità costruttive dei miei lavori. L’imprevedibilità risiede quasi esclusivamente nelle casuali e naturali imperfezioni dei materiali che utilizzo. Imprevisti, questi, che costringono, a volte, a rilevanti modifiche del progetto originario. Per questa ragione, cerco, per quanto possibile, di controllare ogni dettaglio in fase progettuale, onde evitare brutte sorprese.

Se ti chiedo di rivolgere la tua attenzione dal cosa ricordi (il contenuto di una determinata esperienza) al come la ricordi:

• ricordi soprattutto le sensazioni?
• oppure è più forte il ricordo dei colori?
• ricordi soprattutto le voci o i suoni o il silenzio?
• oppure il volto delle persone?
• il profumo o l'odore di qualcosa in particolare?
• altro?

L’aspetto “sonoro” riveste sicuramente una parte importante, come del resto anche la sensazione legata a quel determinato ricordo. Di rado invece, mi capita di ricordare colori o volti. Un altro aspetto, invece, che riveste notevole importanza è il ricordo olfattivo: un profumo associato a un particolare evento o a una persona ha, molto spesso, un impatto emotivo di gran lunga superiore persino rispetto a un’immagine. Questo senso riesce rapidamente a portarmi indietro, a manifestarmi un ricordo, con grande forza e vividezza.

Quale dei cinque sensi utilizzi più frequentemente, più volentieri e con più familiarità quando lavori?

Il tatto, prima di tutto. Amo toccare le superfici con cui lavoro. Prima che vengano alterate e a lavoro finito. La sensazione che mi trasmettono mi fa capire se l’opera sta venendo come previsto o viceversa. In aggiunta a questo senso devo, per ovvie necessità, citare anche la vista. Lo sguardo ha il ruolo di “controllore” del lavoro eseguito. Se l’opera mi trasmette un’immagine complessivamente armonica, allora significa che il lavoro sta prendendo la giusta direzione.

Quali delle tue opere ci proporresti come punti di snodo fondamentali nel tuo percorso?

La prima appartiene alla mia fase grafica: Microcosmo. È un’opera molto vecchia, del 1999, alla quale sono particolarmente affezionata e che racchiude in sé sia il mio passato di disegnatrice sia il germe che ha dato origine alla successiva fase scultorea. La seconda è la mia prima installazione, Il Regno, del 2010, che considero la prima opera di passaggio dal 2d al 3d e infine la mia prima scultura In ludo veritas del 2013. Un’opera, questa, alla quale sarò sempre legata, poiché mi ha permesso di esplorare una disciplina artistica che mai avrei pensato di considerare.

Cosa c’è di importante per te che vuoi che le tue opere dicano a te stessa e a chi le osserva? Quali sensazioni prova il tuo corpo quando hai la consapevolezza di aver raggiunto questa meta?

Desidero, prima di tutto, che il mio lavoro mi aiuti a esplorare e a prendere coscienza di nuovi aspetti del mio essere e del mio vissuto. Ciò che invece vorrei donare al pubblico è essenzialmente una riflessione figlia di un punto di vista magari anche diverso dal loro. Vorrei che il mio mondo, attraverso l’altrui sguardo, venisse arricchito, anche se indirettamente, di nuovi sogni e nuove riflessioni, divenendo così, anche un po’ loro. La sensazione che trasmette un lavoro che realizza le nostre aspettative è un’emozione molto forte: un mix di euforia, felicità e soddisfazione. Per quanto mi riguarda, non dissimile dall’ebbrezza provocata dall’amore. Per questo motivo, spesso risulta difficile separasi dalle proprie creazioni. Terminare un lavoro e donarlo allo sguardo altrui, è un po’ come andar via da una casa che si è amata, allontanandosene senza rimpianti ma con la speranza che chi verrà dopo di te la amerà allo stesso modo.

Quali sono le motivazioni, le spinte, i condizionamenti, i limiti e le conseguenze di essere un artista oggi?

La più grande motivazione che ti spinge a fare arte è la passione per questo lavoro. Un mestiere che richiede grandi sacrifici, spesso mal ripagati. Purtroppo, croce e delizia, dell’ambiente dell’arte è il fatto di essere un mare immenso, in cui c’è posto un po’per tutti, ma nel quale è sempre molto difficile emergere per farsi notare.

A che cosa può aprirsi il mondo attraverso l’arte?

Al nuovo. All’incanto e alla magia di scoprire l’inaspettato, sia esso piacevole, come in alcuni casi, sia esso disturbante e provocatorio, come accade in altri. È la possibilità di esplorare l’“Altro”, inteso come qualcosa di diverso da noi, qualcosa che non conosciamo o che, a volte, non accettiamo, ma che comunque merita di essere ascoltato e compreso.

Quanto può essere utile oggi a un artista esporre in un determinato contesto? E quanto può essere utile il loro passaggio al contesto che li accoglie?”.

Il contesto è fondamentale, ma un ruolo principale lo gioca sempre la fortuna. Spesso, esposizioni in spazi blasonati non danno frutti, mentre altri più modesti contesti regalano inaspettatamente grandi successi. Diciamo, che un lavoro ben fatto e il momento giusto, valgono sicuramente più del contesto teoricamente “glamour” e “vincente”. La stessa cosa vale nella direzione opposta, non sempre un artista noto regala prestigio allo spazio che lo ospita rispetto magari a un lavoro di livello eseguito da artisti meno famosi.

Come sai che sei un’artista (un artista)?

Non credo spetti a me il compito di assegnarmi questo titolo. Quello che posso dire è che sono nata con la passione per il “creare”, e cerco di farlo, ogni giorno, al mio meglio. In merito al fatto che ci riesca o no, lascio “ai posteri l’ardua sentenza”.

Che progetti hai in cantiere?

Molto studio, prima di tutto. Vorrei dedicare tutte le mie energie a migliorare il mio percorso nella scultura, poiché è un passaggio ancora recente. Non appena mi sarà possibile, inoltre, mi piacerebbe realizzare un site-specific a grandezza d’uomo per sperimentare nuove sensazioni e una nuova dimensione espressiva.

Dai la risposta alla domanda che volevi io ti facessi e che non ti ho fatto...

Sempre. Spero.

Silvia Faieta è nata a Latina il 22.06.1978. Vive e opera a Roma.
http://silviafaieta.carbonmade.com