Molteplici sono stati nel corso del tempo gli ambiti cui si è attinto allo scopo di rappresentare al meglio la relazione polare tra la dimensione della memoria e quella dell'oblio, di raffigurarne la costante interazione, dando vita a una vera e propria fenomenologia delle loro infinite modulazioni, essenziali nell'esistenza di ogni essere umano, tanto complesse da poter essere adeguatamente raccontate quasi soltanto attraverso il ricorso ad affascinanti impianti immaginifici.

Intorno all'una e all'altro si sono così sviluppate metaforiche specifiche che, di segno generalmente positivo quando legate alle promettenti facoltà mnemoniche, si sono conseguentemente colorate di tinte del tutto opposte se inerenti la temibile azione della smemoratezza, che anche da una prospettiva prettamente linguistica sembra di frequente rimandare a un senso di perdita e di mancanza (la forma scordare, ad esempio, dice il venir meno di un legame con quel cor con il quale, invece, il ricordare tiene vivo il contatto; allo stesso modo il verbo dimenticare esprime lo smarrimento di ciò che, al contrario, il rammentare tiene saldo nella mens). Laddove, dunque, la memoria è stata pensata alla stregua di un edificio saldo, l'oblio è diventato decostruzione, rovina e sfaldamento (curioso che l'aneddoto che ha consacrato il poeta greco Simonide quale padre della mnemotecnica lo ritraesse nell'atto di ricomporre con il suo sguardo memore le macerie di quella che era stata la sala affollata di un banchetto, nella quale l'esatta collocazione di ciascun commensale si faceva indispensabile strumento di riconsegna della propria identità a ciascun corpo devastato dal crollo); alla memoria ritratta quale città in pieno fermento, l'oblio si è opposto come landa sabbiosa e desolata; e così via, l'idea di uno sguardo limpido contro una modalità sfocata del vedere, di magazzini colmi di tesori da custodire contro l'aprirsi di irreparabili voragini foriere di inarrestabile dispersione, di lucidi stati di veglia contro ipnotici obnubilamenti, di volumi integralmente conservati contro pagine invase da incolmabili lacune.

C'è, però, una ricchissima serie di forme e di figure (alle quali memoria e oblio sono stati altrettanto sistematicamente accostati) capace di ispirare suggestioni differenti, di consentire sguardi inediti sull'intricato legame che le funzioni del ricordare e del dimenticare intrattengono tra loro, addirittura di ribaltare la consueta percezione delle loro reciproche dinamiche e del valore che generalmente vi si associa.

Principio e fine di rivolgimenti dalla portata cosmica, sostanza primordiale indispensabile al generarsi della vita dell'intero pianeta, culla amniotica che segretamente accompagna il plasmarsi di tanti esseri viventi, l'acqua è sempre stata al centro delle narrazioni cosmogoniche e delle affascinanti mitologie di tanti popoli e di tante epoche, nucleo intorno al quale si sono articolate tradizioni religiose millenarie e autorevoli scuole di pensiero. Lungo le rive dei fiumi e sulle sponde dei laghi hanno visto la luce splendide civiltà; sulle superfici degli oceani gli uomini hanno imparato a viaggiare e a esplorare il mondo, a confrontarsi con l'Altro e a misurarsi con i propri limiti, a godere delle meraviglie della natura e a temerne l'incommensurabile potenza, perché da sempre le immense distese salate sono state luoghi di bonaccia e insieme anche di tempesta, spazi di scoperta e di mistero, ricchissima risorsa e fonte di morte. Fu così che - prima ancora dei cumuli di detriti e dei deserti spazzati dal vento, dell'opacità della vista, degli squarci sul fondo dei depositi, del sonno e dei testi resi illeggibili dall'usura o dall'incuria - il carattere infido e instabile di quel liquore, la sua fluttuante mobilità, la sua capacità di disciogliere i contorni e di confondere i dettagli divennero naturalmente simbolo di quell'oblio che fin dai tempi più remoti i popoli hanno cercato in ogni modo di scongiurare e che pure non ha mai smesso di rivestire un ruolo indispensabile alla sopravvivenza di tutti.

Nello specifico della cultura che più ci è vicina tra quelle antiche, proprio a Oceano - figlio di Urano (il Cielo) e di Gea (la Terra) - era tributato un culto particolare; veneranda deità fluviale dall'inestinguibile potere generativo, essa aveva dato indifferentemente origine alle divinità e a ogni sorta di creatura mortale, e continuava a delimitare con l'abbraccio della sua vasta corrente tutte quante le terre abitate dagli uomini. Mai fu estranea, nondimeno, alla sensibilità ellenica la consapevolezza della profonda ambivalenza di cui quella primigenia entità si ammantava; da Oceano scaturivano i mari (rifugio del grande Poseidone, come anche dei più inquietanti e terrifici mostri), il suo inesauribile corso si riversava senza sosta nel letto di tanti fiumi (di quelli che scorrevano alla luce del sole e di quelli che attraversavano il regno di Ade), della sua prolifica sovrabbondanza si alimentavano persino i laghi e le paludi (che spesso a quel mondo sotterraneo erano ritenute le porte di accesso). Nell'immaginario mitico cui scrittori e poeti attingevano, dunque, non era infrequente che le oscure profondità degli abissi raffigurassero la pericolosa minaccia dell'amnesia che inghiotte e cancella i ricordi, in evidente contrapposizione con le terre emerse, luoghi stabili e inamovibili, che per la loro conformazione rocciosa erano al contrario cifra di tutto ciò che resiste e non si perde; tale è nel contesto dell'Odissea la petrosa Itaca, patria tanto agognata, luogo della durata e della persistenza, salda roccaforte di memoria e identità.

Curiosamente, d'altro canto, quegli stessi Greci che per la Memoria, inviolabile madre delle Muse, nutrivano un'autentica devozione, che ad essa finalizzavano ogni loro intenzione e impresa, avevano nondimeno imparato a riconoscerle un'identica natura fluida. Esemplari in questo senso i precetti legati a tanti culti iniziatici - primi fra tutti quelli orfici - che additavano alle anime approdate nell'Aldilà la necessità di accostarsi alla fonte di Mnemosyne che sola avrebbe garantito loro di tenere traccia della propria origine divina e dell'esistenza trascorsa, sottraendole così al penoso ciclo delle rinascite; guai se, al contrario, esse si fossero accostate al flusso di Lethe (nella conformazione tradizionale degli Inferi, uno dei cinque fiumi infernali), le cui acque, dissetanti solo all'apparenza, avrebbero rovinosamente spento in loro ogni necessaria consapevolezza. Eppure, ancor più curiosamente, il potere di quella liquidità che dispensava l'oblio eliminando ogni coscienza di sé era nella dottrina di Pitagora e dei suoi seguaci (nonché anche di Platone) indispensabile alla reincarnazione delle anime di quanti ancora non si erano sufficientemente purificati; addirittura, nel racconto di Pausania, abbeverarsi alle due sorgenti di Lethe e Mnemosyne per liberarsi del passato e tenere salde nella mente le divine rivelazioni era condizione necessaria alla possibilità di consultare l'oracolo presso uno dei numerosissimi santuari disseminati su tutto il territorio greco.

Un'innegabile consustanzialità quella di memoria e oblio, che di fatto non fa che confermare la loro irrinunciabile complementarietà, la loro eterna danza di incastri e di rimandi, di reciproche sovrapposizioni, di inevitabili sconfinamenti. Perché liquida è la memoria che, benedetta, s'insinua attraverso il pianto e scaturisce insieme alle lacrime, che scioglie il dolore, che abbatte barriere di silenzi e rimozioni. Perché liquido è l'oblio che tutto sommerge e insieme conserva, che porta via e allo stesso tempo custodisce, in attesa del momento in cui eventi ed emozioni siano pronti per tornare a galla emergendo in superficie.