Tutti abbiamo un cuore, e non solo in senso romantico. È quindi molto saggio da parte dei cardiologi organizzare grandi congressi periodici per uno scambio di informazioni sui più recenti sviluppi degli studi e della clinica dei vari settori in cui si articolano gli studi di questo complesso ed importante organo, e di comunicare ai media alcune importanti informazioni.

Il 38° congresso della serie, promosso e organizzato dal Prof. Francesco Prati, presidente della Fondazione “Centro lotta contro l’infarto”, accoglie alla Fortezza di Firenze nei padiglioni principali (Spadolini, Cavaniglia e Nazioni) e in altri ambienti del fortilizio mediceo quali Ronda, Polveriera, Ghiaie e Volta, oltre 1.300 cardiologi provenienti da tutta Italia.

La Fondazione continua a centrare il proprio dibattito interno sull’innovazione delle tecnologie e della ricerca, e sull’interconnessione degli approcci, oltre che sulla personalizzazione delle cure, quale metodologia imprescindibile per garantire impatti positivi sulle strategie di salute pubblica. Emergono linee generali che rappresentano un grande passo avanti nella cura di un organo così importante per la vita umana.

Ormai, affermano in questo congresso, la medicina cura (dovrebbe curare) in modo sempre più personalizzato. A questa possibilità si può meglio arrivare se il paziente conosce il funzionamento del cuore, così da fare attenzione se il battito aumenta di frequenza o diviene irregolare. Personalizzare la cura richiede, dunque, una partecipazione attiva del paziente che sappiamo essere fondamentale per ottenere buoni esiti. C’è di più: nella vita di molte persone capita di veder stare male qualcuno all’improvviso. Se si tratta di cuore, la tempestività nel fare intervenire i sanitari può fare la differenza fra salvare una vita e non riuscire ad impedire una morte. In questo senso la conoscenza di base in questo campo dei non addetti è salvavita.

I temi del confronto di quest’anno, oltre a quelli riguardanti la pandemia, ovvero le ricadute sul cuore della malattia stessa o della vaccinazione, sono sul collegamento fra il declino cognitivo e varie patologie. Inoltre si comunicano nuove cause dei fattori di rischio cardiovascolare.

Il congresso “Conoscere e curare il cuore” mette a fuoco i temi delle possibili complicanze cardiovascolari dei vaccini, i problemi di coagulopatia relativi al virus ed i danni a lungo termine dell’infezione.

Nello studio Oxford Covid vaccine Trial Group, che ha incluso 1.077 partecipanti, età mediana 35 anni e di cui quasi il 50% donne, sono stati descritti i seguenti effetti transitori della vaccinazione: fatica (70%), mal di testa (68%) - come le più comuni reazioni avverse - seguiti da male ai muscoli, debolezza, brividi, stato febbrile, neuropenia. Le trombosi si sono manifestate prevalentemente in giovani donne intorno ai 50 anni. Però i dati raccolti indicano che la trombosi può manifestarsi molto più nei pazienti con SAR-CoV-2 che in soggetti vaccinati. La patogenesi della coagulopatia associata a Covid è complessa, coinvolgendo non solo il sistema coagulativo, ma anche il sistema immunitario, l’endotelio e le piastrine. Il regime anticoagulante ottimale non è ancora noto e sono in corso numerosi studi per fornire risposte alle tante domande ancora aperte.

Nonostante la SARS-CoV-2 sia causa di una malattia respiratoria acuta, numerosi pazienti ricoverati per Covid-19 sono stati colpiti da una costellazione di sintomi eterogenei tardivi ed eventi che sono durati per più di tre mesi dall’esordio dell’infezione acuta. Questo stato, definito Long Covid, colpisce più le donne. Oggi, studiando un numero elevato di casi, si è visto che il 70% dei pazienti risulta soffrire di Long Covid. È un disordine multisistemico, che potrebbe essere dovuto a frammenti di genoma virale (o antigene virale) che ha perduto la capacità infettiva ma induce questa patologia. Anche su questo argomento gli studi vanno avanti. Il congresso costituisce il primo importante momento di confronto scientifico in presenza dopo l’insorgere della pandemia, grazie al quale i cardiologi italiani, lontano dalla frenesia dell’emergenza e della pressione mediatica, si confrontano, si interrogano e condividono le esperienze, per elaborare le prime riflessioni sistematiche.

Gli studi confermano che il declino cognitivo è una patologia sempre più connessa al cuore perché è stata dimostrata una correlazione evidente tra fattori di rischio cardiovascolari e declino cognitivo. Il numero di persone affette da demenza nel mondo è in progressivo aumento per il prolungamento della vita, ma anche per l’aumentata diffusione dei fattori di rischio cardiovascolare nella popolazione di ogni età. Le potenzialità dementigene di tali fattori iniziano a estrinsecarsi piuttosto precocemente, ragione per cui è fondamentale una loro pronta correzione prima che possano innescare ed amplificare i meccanismi fisiopatologici che conducono al declino cognitivo. L’ipertensione nell’età giovane-adulta si associa ad un aumentato rischio di demenza nell’età avanzata. Anche il diabete mellito di tipo 2 è associato ad un significativo aumento del rischio di demenza, tanto da spingere i ricercatori ad etichettare la malattia di Alzheimer come “diabete mellito di tipo 3”.

Anche l’obesità è fattore di rischio del declino cognitivo. Per i fumatori la correlazione è più difficile, dato che molti muoiono prima dell’età in cui più frequentemente la demenza si sviluppa. Nel corso degli ultimi anni un crescente interesse è stato rivolto dalla letteratura scientifica all’ipotesi che i disturbi del sonno possano condizionare un aumentato rischio di sviluppare sia eventi cardiovascolari che demenza.

La dimensione assunta dal rischio cardiovascolare, che consiste in alterazioni della parete delle arterie, che perdono la propria elasticità a causa dell'accumulo di calcio, colesterolo, cellule infiammatorie e materiale fibrotico, ha indotto gli studiosi a mettere in correlazione questo fenomeno anche con cause genetiche. Alcuni geni, in presenza di mutazioni patogenetiche, sono responsabili di alterazioni nel metabolismo del colesterolo LDL, causando ipercolesterolemia familiare. Individuare portatori di mutazioni patogenetiche nei geni causanti ipercolesterolemia familiare è fondamentale, poiché questi pazienti presentano un rischio di sviluppare infarto circa tre volte superiore rispetto ai non portatori.

Una conclusione chiara sull’argomento colesterolo viene data in questi termini: tenere sotto controllo il colesterolo che, soprattutto per gli anziani ma anche per ogni età, deve essere basso. Il nostro organismo è inadatto a funzionare con livelli alti di colesterolo.

Altri consigli operativi facili da seguire: dedicare le giuste ore al sonno, eseguire quotidianamente una corretta igiene orale, non saltare la colazione del mattino, sono tutte abitudini salutari e amiche del cuore.