Vedi questa immagine, può essere un occhio o un sesso femminile, può essere riferito alla prima fessura verso il mondo o all’ultimo sguardo verso il mondo.

(Bigas Luna)

Da piccolo ero convinto che i seni delle donne fossero pieni di latte. Addirittura quando mia Madre mi prendeva fra le sue braccia e mi stringeva fra i suoi grandi seni, avevo paura che il suo latte cominciasse ad uscire e mi bagnassi la testa, per proteggermi mi nascondevo sotto le sue ascelle. Più tardi scoprì che i seni non erano pieni di latte, scoprirlo fu una esperienza piacevole e sensuale, ma anche la mia prima delusione. Nei miei disegni appaiono donne che offrono il loro latte al mare Mediterraneo, oltre che lo gettano verso il cielo, oltre che lo bevono dai propri seni, oltre che lo offrono a bocche assetate, le chiamo le Allattatrici, personaggi della mia mitologia personale che amo, che arricchiscono la mia vita e che ultimamente si trasformano in personaggi reali. Donne belle, misteriose e divine, col potere della maternità e la forza infinita del sesso fatto cibo, donne con vita. Rappresentazione calcarea, paleolitica della grande donna, della grande Madre, donne di latte perenne.

(Bigas Luna)

Palazzo delle Esposizioni di Roma la sera del 4 maggio 1996, una grande festa popolare per celebrare il celebre regista spagnolo Bigas Luna che ha scelto una finestra su via Giulia come vetrina esclusiva della sua ultima opera Le Allattatrici, presente dal 5 maggio per una settimana in Transiti, una finestra su Roma.

Questo era quello che annunciava l’agenzia Adnkronos.

Roma quella mattina si svegliò con questo pensiero di Bigas moltiplicato in centinaia di manifesti attaccati per tutta la città.

Nato a Barcellona nel 1946, artista concettuale, designer, pittore e regista di cinema. Realizza una serie di film tra cui La chiamavano Bilbao e Caniche, Lola e l’angoscia - che lo avvicinano a maestri come Luis Buñuel e Marco Ferreri - L’età di Lulù, Prosciutto prosciutto e Uova D’Oro; nel 1996 Luna dirige Valeria Marini nel suo film più discusso, Bambola.

Transiti era un'idea voluta ed ideata da me e da Emma Politi, per cui abbiamo scelto la finestra della Galleria Giulia come occasione per mostrare e riflettere sulla molteplicità dei linguaggi, sui passaggi brevi ma di forte impatto, nel tentativo di trovare un lessico comune agli interrogativi di fine millennio.

Baloccare con gli intervalli, percorrendo quotidianamente lo stesso itinerario organico, vedere con gli occhi d'altri come ci insegna intelligentemente certa pubblicità, mi disse Bigas, intanto venivamo assaliti dei tanti paparazzi sulle scale del Palazzo delle Esposizioni a Roma.

La sera precedente eravamo stati al Gilda; quella sera Bigas aveva scelto una giovane attrice Fulvia Lorenzetti come la sua Musa per l'evento romano. Quella sera oltre a dire pubblicamente che gli sarebbe piaciuto acquistare un’opera di Matteo Basile, Bigas rimase abbagliato di come riuscivo a tenere a bada i fotografi e gli scocciatori che ci assalivano ogni secondo. Per ricompensarmi mi regalò il suo ventaglio da caballero che usai per molto tempo.

Mandare in frantumi queste non presenze e in questo caso il ruolo che si assume questo nuovo occhio. Mi disse mentre sorrideva verse le camere.

Nuda in cornice

La vetrina della Galleria Giulia era una grande finestra su una delle più antiche via della capitale. Via Giulia ha un primato: è stata la prima e più lunga strada di Roma. Infatti, si sviluppa, parallelamente al corso del Tevere. Qui Bigas concepì il suo allattamento. Un teatrino dove la giovane attrice sporgendo i seni sprigionava il nettare bianco come fossi una fontana.

Nuda, senza il ghiaccio del limite, della cornice, del confine che la ingabbia, fugge vagabonda, barcolla sul filo di un coltello e quando si precipita fuori se ne va e poi lo spinge di nuovo dentro. Le immagini fondate, nel loro equilibrio formale si iscrivono in uno spazio dove un sipario si apre e si chiude. Dal purismo, il dramma diventa il teatro della rappresentazione.

Mi vengono in mente le sue pitture dove ogni pennellata occupa la sabbia che ha servito le onde. La memoria si accende? Avevo in mente chiaramente i suoi disegni dove l'occhio è il centro. Complice dell'impurità, convoca l’armonia.

Organizzai una cena in suo onore dal bravo Bartolo Cuomo nel Bar della Pace, che non era solo un bar, ma un luogo magico grazie al quale la cultura aveva una sorta di quartier generale. C'erano tutte le muse italiane dei suoi film, Amanda Sandrelli in primis, Francesca Neri e la bellissima Anna Galiena. Imbucata non so come né da dove ci siamo è arrivata Francesca Dellera. Più pallida che mai, non fiatai per paura si rompesse, era tutta porcellana. Aggiungi un posto a tavola. Serata indimenticabile.

In questo Caffè nacque anche la Transavanguardia, siamo agli inizi degli anni ’80, in cui avvenivano gli incontri tra il critico Bonito Oliva e i pittori Cucchi, Clemente e Paladino. Più in là sedeva Gino De Domenicis. In tempi più recenti, anche alcuni personaggi dello spettacolo non hanno resistito al fascino dell’Antico Caffè.

Si storicizzano le tracce di un paesaggio che sfiora gli angoli di una metropoli che si presta a tutto, a un gesto, a una linea, all'eco urbano di un altro giorno. L'impatto con il presente avviene nel punto d'incontro tra pulsione e linguaggio. Oggi il Bar della Pace è chiuso definitivamente e il grande Bartolo, morì di infarto un po’ di anni fa.

“Mi interessa la “vita” dell’immagine - disse Bigas rispondendo a un’intervista fatta da Marco Nereo Rotelli a Tarragona - l'energia che intercorre fra gli opposti e nelle situazioni paradossali. Credo in una certa alchimia che la pone su un versante comunicativo, la apre al mondo, creando un gioco di intercambiabilità, di interdipendenza fra dimensioni considerate opposte…. Vedi questa immagine, può essere un occhio o un sesso femminile, può essere riferito alla prima fessura verso il mondo o all’ultimo sguardo verso il mondo…”

Sapevi che non eravamo un ramo e nemmeno un uccello, cambiasti allora di cinema, di pensiero, cambiasti di boutique, di mezzo di trasporto, di città, cambiasti di vesti, di tessuti, indossasti un volto nuovo.

Il regista spagnolo, malato da tempo, si è spento nella sua casa di Tarragona sulla riviera catalana, assistito dalla moglie e dalle figlie. Luna aveva 67 anni.

Una chiave umida che con la rabbia di un Re espelle sui tetti di un'estate senza erbe, ma con brandelli di segni, fili di girasoli, fulmini fosforescenti.

Mi addentrai nel suo mondo ed oltre il pericolo raccontai l'anello senza mano, la sete del giovedì, i seni multipli della donna menta (così la chiamerò).

Ci lascia i suoi film, la sua pittura

Bigas ha realizzato un percorso in cui l'urgenza espressiva ha masticato velocemente tutto, e poi da lì formula un'immagine, come se l'essenziale fosse voltare verso il collasso.

Ci disse, due personaggi che appaiono sempre nei miei disegni: Spirito e Ragione… Spirito è quello che sta a sinistra ed è sempre più grande della ragione… All’inizio erano due uomini riconoscibili, con gambe aperte. Nel corso del tempo si sono semplificati, tutto il mio lavoro vorrei forse una continua semplificazione, una ricerca di elementarità. Così le gambe sono scomparse, il corpo si è allungato e tutti dicevano: sono serpenti. A Comacchio, molto tempo dopo, scopro che potrebbero essere anguille…

Riferimenti linguistici di tutti i nomadi che non forniscono alcuna soluzione, che cercano di costringere quella lingua a diventare una lingua. Questa lo avvicina a quella surreale che incideva il sarcasmo su una bussola che inserisce gli eventi del suo tempo nella storia del mondo.

Ho passeggiato tra le rose e i segni a Forte (tra i fogli scritti ciò, stesi cioè giù per terra): (e le rose ci stavano incollate, precocemente periture): (te si corrompevano, così fasciate, saciándose sfacciate, le bendate, sfacendosi, i petali e le foglie): tutto va in simmetria, lì, a specchio: anche lo spirito, e anche la ragione (se li ho capiti bene, così in parte sessuali, e in parte no): e ho visto un ricciolino, una spirale superstite, nera (che era una lingua, era un lingam, mi immagino). Ho sentito una storia che Bigas raccontava, di Comacchio: (c’entravano le anguille, certamente, spezzettate in marinate, efferatamente affettate, segmentate: pluricastrate in serie, a colpi secchi).

(Edoardo Sanguineti, agosto 1996)

Le immagini avanzano con la certezza di essere un'allegoria che risponde a una precisa funzionalità espressiva: l'apologia amorale sulla vanità della ricerca del piacere terreno, e quella differenza (dove Eva non è intesa come l'origine del peccato e l'umanità come il primo dei suoi vizi, perché l'inferno come penitenza e punizione, ci viene mostrato come un'epigrafe di connivente delizia). In questo modo, mette in risalto la spinta che alcuni maleducati come me cercano di trasformare, cercando lì la trama, la formula magica, l'incanto, il mito.

Oggi chiamiamo questo lirismo focoso, il grottesco dove, come dice Baudelaire di Goya, riesce finalmente ad essere il sublime.

Glossario dei termini tecnici; ogni tecnica esige strumenti e materiali propri ed una terminologia specifica. Esistono però alcuni termini ricorrenti, da conoscere e memorizzare.

Abbozzo. Forma iniziale di un'opera già in grado di suggerire l'aspetto definitivo.

Andamento lineare. Modo di direzione in cui vengono tracciate delle linee (rette, spezzate, curve).

Campiture. Superficie omogenea di colore o texture.

Chiaroscuro. Modellazione delle forme attraverso il disegno o il colore, per mettere in evidenza.

Bigas Luna, vittima di una leucemia che aveva tenuto nascosta. Talmente nascosta che le riprese del suo nuovo lavoro, avrebbero dovuto cominciare da lì a breve.

  1. Quante volte si trova dolorosamente solo sulla scena della sua giornata ed ecco però che finalmente arrivano altri, tu e tu a volte i popoli della terra e allora sulla scena si fa spazio il colore.

  2. Intanto l’occhio di un topo impaurito luccica sull'erba come una goccia di rugiada, supplica l’attimo, rimani anche se non sei bello.

  3. Il bambino allora s’addormenta esausto finalmente al riparo di ogni amore.

Lasciateci almeno e meno male l'eredità di scambiarci distinti saluti.