Alessandro Pratesi in Genesi e forme del documento medievale, riprendendo la definizione di Cesare Paoli, afferma che il documento oltre che indicare una testimonianza di valore storico è l’oggetto di studio della diplomatica.

Il documento è dunque: «una testimonianza scritta di un fatto di natura giuridica, compilata con l’osservanza di certe determinate forme, le quali sono destinate a procurarle fede e a darle forze di prova».

Da questa definizione scaturiscono tre elementi fondamentali:

  • la circostanza della scrittura (rientra nella diplomatica solo l’attestazione scritta);
  • la natura del contenuto (il diplomatista studia solo gli scritti di natura giuridica);
  • e la forma della redazione (la forma deve rispondere a norme precise, seppure variabili a seconda del tempo, del luogo, di chi scrive e del contenuto, tali da conferire al documento la credibilità necessaria e probativa fin quando non si sia dimostrato il falso).

La diplomatica, invece, secondo Pratesi è: «la scienza che ha per oggetto lo studio critico del documento al fine di determinare il valore come testimonianza storica».

Il documento rispecchia sempre una determinata situazione politica, sociale, economica e inoltre, essendo attestazione scritta, fissa nel tempo le fasi dell’evoluzione linguistica. Infatti, quando si studia un documento, è importante tener d’occhio la forma in cui esso si presenta e ancora di più ricostruire le fasi del processo di documentazione seguendo un metodo storico.

Nel secondo capitolo, Alessandro Pratesi afferma, che la diplomatica nasce nel Seicento intesa sia come scienza e come tecnica per definire la genuinità di un documento.

La diplomatica nasce in due momenti: anticamente intesa come tecnica per definire la genuinità di un documento e poi nel Seicento intesa come scienza.

Prima dell’Umanesimo il problema interessava non lo storico ma bensì il legislatore. Occorreva però per una critica raffinata il possesso di una conoscenza e di un metodo storico di cui si videro i primi frutti solo con gli umanisti.

Nel 1675 Daniel Van Pepenbroeck scrive un’introduzione al II tomo degli Acta sanctorum Aprilis in cui, nel dettare norme per l’analisi dei documenti, giungeva a un tale rigore di critica che finiva col gettare il discredito su un gran numero di carte dell’epoca merovingica.

In risposta a questo testo, Jean Mabillon pubblicò i De re diplomatica libri VI, lavoro fondamentale e, per alcune parti, tuttora valido, che destò l’ammirazione degli studiosi e anche del Papenbroeck, di aver distinto le varie categorie di documenti e preso in considerazione gli elementi intrinseci ed estrinseci suscettibili di critica creando così un metodo scientifico che ha conservato a lungo le sue validità.

A metà del XVIII secolo fu pubblicato, tra il 1750 e il 1765, il grandioso Nouveau traitè de diplomatique in sei volumi per supplire alle mancanze del testo proposto da Mabillon.

In sintesi, la diplomatica del passato aveva come fulcro il falso (si vedano, ad esempio, gli studi di Lorenzo Valla sulla donazione di Costatino come falso), la diplomatica del presente, moderna, studia invece il documento per determinare la realtà politica, sociale ed economica di un dato periodo storico nonché la sua genuinità.

Nel capitolo XI Pratesi racconta la tradizione dei documenti e come questi giungano a noi. Ogni valutazione critica del documento deve prendere le mosse dall’indagine sul come il documento è stato trasmesso. Gli stadi della trasmissione di un documento sono essenzialmente tre:

  1. minuta: può considerarsi un abbozzo, più o meno sviluppato, della stesura definitiva e rappresenta la fase immediatamente vicina a quello che potremmo chiamare momento creativo.
  2. originale: è il documento completo uscito direttamente dall’ufficio di cancelleria o dalle mani del rogatario e giuntoci nella forma e nella materia genuine con le quali fu emesso.
  3. copia: è una trascrizione più o meno immediata dell’originale, potendo essere rappresentata o da un apografo di esso (copia diretta) o da un anello che discende dal capostipite attraverso una catena di intermediari (copia di copia, ecc.).

Si distinguono tre tipi di copie:

  • autentica: quella che ha ricevuto particolari elementi di convalida destinati a conferire al documento la stessa credibilità attribuita all’originale; l’autenticazione può essere cancelleresca se la copia è redatta nella medesima cancelleria dove è stato scritto il documento originale;
  • semplice: quella che consta della pura trascrizione del documento ad opera di un qualunque amanuense privato, senza alcun elemento di autenticità;
  • imitativa: quella che copia gli elementi intrinseci ed estrinseci del documento.

Nella tradizione di un documento possono aversi più originali (quando per esempio i destinatari sono più di uno) e, soprattutto, più copie; è necessario in tal caso valutare l’epoca a cui ciascuna risale e stabilire con esattezza i rapporti di discendenza.

Le falsificazioni possono presentarsi, dunque, sotto forma di originale o sotto forma di copia: soprattutto le copie autentiche rappresentano, per l’insinuazione dei falsi, un terreno favorevole e perciò irto di insidie per il diplomatista.

Concludendo, si sottolinea che, qualsiasi documento del passato racconta all’uomo del presente una verità storica, dunque, il diplomatista ad oggi non va “a caccia” di falsi ma studia la fonte per determinarne la realtà storica, economica e politica della società nella quale il documento è stato prodotto.

La storia e i suoi protagonisti, non vanno, dunque, condannati, ma studiati e analizzati criticamente senza sterili anacronismi.