Per voce creativa è un ciclo di interviste riservate alle donne del panorama artistico italiano contemporaneo. Per questa occasione Giovanna Lacedra incontra Erica Campanella (Milano, 1974).

Ha dipinto per anni, rendendo plastiche le sue figure attraverso pennellate rapide e fluenti. Su tela, su rame. Corpi, corpi, corpi. Solitudini, annodamenti, nudità. La prima volta che vidi le sue opere fu in una galleria milanese nel quartiere di Brera, dove entrai per caso perché dall’esterno notai i soggetti e la tavolozza calda con cui i suoi dipinti erano risolti. La Galleria si chiamava Angel Art, la mostra Alter-Ego ed era curata da Chiara Canali. Nonostante i miei numerosi traslochi, ne conservo ancora il catalogo. Sui supporti si alternavano figure maschili e femminili, raccolte su se stesse, spesso ritratte da un punto di vista rialzato, come osservate dallo sguardo di un qualche Dio che le scovava nel raccoglimento e nella desolazione di luoghi indefiniti.

Pennellate dense di terra di Siena bruciata delineavano ambientazioni dalle quali emergevano incarnati lavorati dal gesto e da una impeccabile conoscenza anatomica. Sguardi grandi e profondi, che a quel Dio si rivolgevano carichi di domande. Oppure abbracci. Abbracci dati a se stessi. Abbracci donati, che diventavano per l’altro un rifugio e una preghiera. Poi la incontrai. Qualche anno dopo. La conobbi al vernissage di una mostra dove entrambe esponevamo. Entrammo in confidenza tanto che le sue due splendide figlie, Giulia e Sofia, negli anni hanno preso parte a due delle mie performance. Tutto il mondo di Erica, questa sua fascinazione per il corpo come linguaggio e confessione, questa sua profonda passione per la storia della pittura, per i corpi possenti e serpentinati di Michelangelo e per quelli più floridi e carnali di Rubens, questo anelito di attesa e di nostalgia che si coglie non appena la si conosce meglio, questi suoi occhi sempre così accesi di curiosità e stupore, questa sensualità che fa parte del suo essere e delle cose che del mondo la catturano, tutto questo è confluito, infine, nella sua rinascita artistica, quella che ha spostato il focus dalla pittura al mezzo fotografico.

“La macchina fotografica è il mio pennello…” dice lei.

Araki è stato il suo primo maestro spirituale, la Nikon una nuova bussola con cui orientarsi in questo inedito viaggio espressivo, vissuto con l’entusiasmo di un’adolescente e la caparbietà di una donna che sa dove sta andando.

Oggi, nelle fotografie di Erica, i corpi sembrano fatti di carne e memoria, di seta ed erotismo, e hanno l’eleganza dei fiori, la consistenza delle nuvole, la bellezza di un ritratto rinascimentale. La sua esperienza nella pittura come nella docenza e nella pratica del restauro, le permettono oggi di costruire composizioni fotografiche armoniose ed equilibrate, ma al tempo stesso dense di mistero. La continuità presente nei dittici, pur con soggetti differenti, fortifica ancora di più questa sua competenza tecnica.

Ma l’ingrediente che fa la differenza è la sensibilità del suo essere donna e il suo sguardo spalancato sulla bellezza, quando questa si rivela nel silenzio. Come un fiore quando sboccia. E tu sei lì, e non puoi far altro che innamorarti.

Erica vive e lavora a Casalmaiocco, in provincia di Lodi. Questa è a sua voce creativa per voi!

Chi sei?

Una grande appassionata d’arte, sognatrice, scanzonata bambina in un corpo di donna.

Cosa sognavi da bambina?

La mia vita è sempre stata immersa nei sogni, sin da bambina vivevo in un mondo fatto di disegni e colori. Avevo i libri di scuola ricoperti di disegni, inventavo storie, personaggi, corpi, coloravo pagine intere. Sognavo di disegnare per tutta la vita. Lo sogno ancora…

E oggi che sei madre, cosa sogni per le tue bambine?

Come madre sogno che le mie figlie possano vivere la loro vita con grande passione e intensità. Che abbiano il coraggio di sentire la libertà, di rompere le barriere, di imparare, provare, divertirsi, vivere qui e adesso, crescere di continuo e, ancora più importante, amare e condividere il loro amore.

Un aggettivo che ti racchiude tutta.

Sono una donna “volitiva” ma anche estremamente “fragile”.

Dove vai quando vuoi stare con te stessa?

Per ritrovare me stessa ho bisogno di arte, i musei sono il mio luogo di meditazione preferito.

Un libro che ti ha cambiata.

L’ultimo libro che mi ha molto colpita parla d’amore: Roland Barthes, Frammenti di un discorso amoroso.

Una canzone che ti culla.

Non ho una canzone in particolare, amo la musica in genere ma se dovessi scegliere mi farei cullare dalle note di Chopin.

Il dipinto o la fotografia dentro cui vorresti vivere.

Ultimamente sono stata a Roma e ho rivisto il Giudizio Universale di Michelangelo. Credo proprio che vorrei vivere dentro quel turbinio di corpi.

Sei migrata dalla pittura alla fotografia. Come è accaduto e quando?

Ho sempre lavorato nel mondo dell’arte, la pittura è stata la mia passione, finché un paio di anni fa ho visitato una mostra di Araki e sono rimasta folgorata dalla potenza espressiva del mezzo fotografico. Da quel momento ho scoperto un nuovo mondo. La fotografia è diventata il mio pennello, la mia voce urlante nel silenzio, la mia terapia più profonda, la mia nuova vita.

Quanto, della pittura che facevi, esiste nella fotografia che fai?

Chi guarda le mie foto vede la mia pittura. Uso la fotografia come se avessi dei pennelli, dipingo con la luce, le ombre e i colori.

Nei tuoi scatti c’è molta memoria e molta sensualità, in che modo combini questi due ingredienti?

Voglio raccontare la bellezza umana attraverso piccole storie che, prendendo spunto dall’immaginario della memoria collettiva, possano comunicare emozioni, suggestioni ed anche turbamenti.

Il corpo femminile è protagonista della tua ricerca, perchè?

Le mie foto sono prima di tutto un viaggio interiore dentro un mondo fatto di ricordi, sensazioni, ed immagini. Per raccontarlo uso il corpo, il soggetto principale dei miei scatti, e lo colloco nel tempo e nello spazio. Il corpo nudo diventa metafora di purezza e sensualità perché la magnificenza della verità sta nello spogliarsi da qualsiasi ornamento.

È vero che la scaturigine di un’opera è sempre autobiografica?

Per me sì, il mio lavoro nasce dalla mia vita. Sto sempre lavorando ad un progetto, anche quando non scatto la mia mente lavora, pensa, crea già delle immagini. Lavoro quando la mia emotività viene stimolata, quando mi appassiono, quando nella mia vita succede qualcosa che ritengo sia importante raccontare, quando piango.

Il primo scatto di cui ti sei sentita soddisfatta.

La serie Love me contiene una serie di scatti che mi hanno fatto capire che ero sulla strada giusta.

Un lavoro tuo che ti sta maggiormente a cuore e perché?

Tempo passato: è un lavoro che ho realizzato un paio di anni fa, nella vecchia casa di mia nonna. Ho cercato di restituire l’influenza misteriosa ed eterna di quei luoghi in cui sono cresciuta attraverso il racconto di corpi che svelano e raccontano emozioni passate e nascoste.

Ad ispirarti, influenzarti, illuminarti ci sono letture particolari?

Sono molti i libri che leggo ultimamente e che hanno un forte ascendente su di me e sul mio lavoro, oscillo tra letture di saggi di storia dell’arte a quelli di psicologia e filosofia.

Scegli 3 delle tue opere per raccontarti.

Serie Love me 5 - de flora, 2018.
Amore, bellezza, ricordo. La serie fotografica offre e svela, mediante un racconto, il corpo femminile. Quel corpo che nel passato si velava di paure ed incertezze ora si “veste” della sua “nudità”, trovando nella sua “carne” il suo abito naturale. Un corpo che lega intimità ed eros, attesa e possibilità. Le gambe, le labbra e le mani si scoprono linfa vitale di emozioni, di gesti.
Giocando con ricordi di infiniti e passati amplessi o tendendosi verso nuovi e possibili floreali amanti, rappresenta la metafora di un percorso che va dal concepimento e dalla procreazione all’appassimento e al ricordo. “Questa è la mia storia…” , un piccolo mondo, dove ogni donna può riconoscersi, attraverso le immagini di un corpo che, liberato dai tabù, indossa il suo “abito” più naturale “la nudità”.

Serie Tempo passato, 2018.
Un comodino, una luce. Il ricordo di un pizzo velato. Un tempo passato che si muove nello spazio e nella memoria. La serie descrive antichi desideri, piccole emozioni nascoste, ricordi di bellezza e carnalità. L’influenza misteriosa ed eterna della memoria viene colta attraverso il racconto di corpi che si svelano e trovano nel tempo il loro luogo di esistenza. Questi corpi, figli della stessa madre, mostrano un carattere legato tra eros e gentilezza e attraverso un filtro nascosto, carico di ricordi, sono accompagnati nei luoghi invisibili della memoria collettiva.

Serie Espiazione, 2019-2020.

Maledetta notte degli effimeri piaceri quando il mio ventre concepì questa espiazione!

(Charles Baudelaire)

La serie in continuo progress parla dell’espiazione, del senso di colpa, così comune ai noi esseri umani. Un corpo immerso nell’acqua, un luogo intimo. Il lavaggio rituale e l’abluzione, sono atti di passaggio, gesti propiziatori verso un nuovo mondo e un nuovo Dio.

L’opera d’arte che ti fa dire: “Questa avrei davvero voluto realizzarla io!”?

Un qualsiasi quadro di Rubens.

Un o una artista che avresti voluto esser tu.

Forse lo stesso Araki… vita e foto decisamente passionali!

Un critico d’arte o curatore con il quale avresti voluto o vorresti collaborare?

Vorrei poter lavorare con chiunque fosse appassionato, qualcuno con cui condividere un onesto percorso di crescita e scambio.

Quale credi sia il compito di una donna-artista, oggi?

Quello di ogni artista, cioè di usare l’arte come strumento comunicativo per rivendicare i propri diritti, in difesa del proprio corpo e della propria libertà espressiva.

Tre aggettivi per definire il sistema dell’arte in Italia.

Un sistema poco meritocratico, sfuggente ed eccessivamente basato sulle pubbliche relazioni.

In quale altro ambito sfoderi la tua creatività?

Sfodero la mia creatività soprattutto a scuola, con i miei alunni. Educo alla bellezza, cerco di far aprire gli occhi verso qualcosa che arricchisce, che fa crescere, superando i confini e sviluppando la creatività, l'ascolto e la passione.

Work in progress e progetti per il futuro.

Ultimamente sto scattando molto le mie figlie, che sono state il mio soggetto preferito durante il lockdown. Prossimi progetti: la mostra Pleasure garden che riprenderà in settembre alla Podbielski Contemporary e la fiera di novembre al Photo London.

Il tuo motto in una citazione che ti sta a cuore.

“Sii sempre il meglio di ciò che sei”.